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Mura timoleontee

Coordinate: 37°04′16.61″N 14°13′24.95″E
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Mura Timoleontee
Fortificazioni greche di Caposoprano
Fortificazioni greche e postierla ogivale
CiviltàGreco-Sicelioti
UtilizzoMura difensive
EpocaIV secolo a.C.
Localizzazione
StatoItalia (bandiera) Italia
Comune Gela
Dimensioni
Altezza8 m
Lunghezza360 m
Scavi
Data scoperta1948
Date scavi1948 - 1952
ArcheologoDinu Adamesteanu, Pietro Orlandini
Amministrazione
EnteRegione Siciliana
ResponsabileParco Archeologico di Gela
VisitabileVisitabile
Sito webparchiarcheologici.regione.sicilia.it/gela/siti-archeologici/mura_timoleontee/
Mappa di localizzazione
Map

Le mura Timoleontee sono antiche fortificazioni greche della città di Gela. Costituiscono un'importantissima testimonianza archeologica del sistema difensivo che cingeva la collina sulla quale sorgeva l'antica città greca di Gela, fondata da coloni di Rodi e Creta nel 689 a.C. e definitivamente distrutta nel 282 a.C.

Le mura, che prendono il nome dal condottiero Timoleonte (IV secolo a.C.), si trovano all'interno di un grande parco posto tra la città moderna e la costa, in località Caposoprano.

Vincenzo Interlici immortalato nel 1955 dal fotografo Federico Patellani per il settimanale Tempo

La scoperta è avvenuta casualmente nel 1948 da parte di un contadino, Vincenzo Interlici[1], che possedeva un orto nella zona allora caratterizzata da alte dune sabbiose ricoperte di macchia mediterranea. Egli sognò che scavando nel suo terreno avrebbe trovato un tesoro e, affascinato da tale pensiero, si mise subito a scavare finché non toccò qualcosa di solido alla profondità di un metro e mezzo.[2] Con la luce del sole sparse la notizia in paese. Ricerche più approfondite rivelarono dopo pochi giorni che si trattava di una scoperta importante: le possenti mura greche dell'antica Gela dinanzi alle quali si consumarono alcune delle più cruente battaglie tra Greci e Cartaginesi. Grazie ai finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno, tra il 1948 e il 1952 si completarono i lavori di scavo, consolidamento, restauro e protezione del reperto. Per riportare alla luce il reperto in alcuni punti è stato necessario scavare sino a una profondità di 12 metri. Per proteggere dalle intemperie il monumento fu realizzata una copertura e un rivestimento in cristallo dei mattoni crudi che, in seguito a deterioramento, vennero eliminati tra gli anni ottanta e novanta e sostituiti con nuovo sistema di protezione. Quest'ultimo, in fibra di vetro e rivestito sulla superficie superiore da teflon, è sostenuto da una serie di telai antisismici e resistenti agli agenti atmosferici.[2]

In base alle dimensioni della collina e ai ritrovamenti susseguitisi nei secoli è possibile immaginare una notevole estensione del sistema difensivo dell'antica colonia greca, la quale si espande nella zona di Capo Soprano solamente in coincidenza della ricostruzione della città da parte del tiranno Timoleonte nel IV sec. a.C., epoca alla quale appartiene il tratto di mura messo in luce.

Dei circa quattrocento metri lineari di fortificazioni, risultano in ottimo stato di conservazione circa i tre quarti. Nel primo tratto le mura risultano rovinate a causa delle spoliazioni di epoca medievale, quando i ruderi venivano riutilizzati per la costruzione della nuova città federiciana di Terranova e per le successive espansioni cinque-seicentesche. Questo primo tratto rivolto a nord presenta grossi blocchi ben squadrati di pietra arenaria (di due colorazioni differenti), coi resti di una scala che conduceva ai camminamenti di ronda. Proseguendo si notano il basamento di una prima torre di avvistamento e i resti di una seconda torre con funzione militare esposta verso sud-ovest. Proseguendo ancora si giunge in un ampio piazzale dal quale è possibile ammirare il reperto in tutta la sua complessità. Per un tratto di oltre 200 metri le mura si sono conservate praticameate intatte. Qui le mura si presentano con un basamento sempre in grossi blocchi di arenaria (alto più di 3 metri) sopra al quale si sviluppa un tratto di mura realizzato in mattoni crudi (di argilla e paglia) detti "cotti al sole" (in quanto non venivano cotti in forni ma lasciati essiccare al sole per alcuni giorni prima di essere impiegati).[2] Per la ricostruzione di alcune parti crollate recentemente è stata utilizzata la stessa tecnica usata anticamente dopo attenti studi sulla composizione dei mattoni. Le mura oggi come allora erano esposte a sud, in una zona particolarmente ventosa prospiciente la costa. Per tale ragione erano soggette a un continuo insabbiamento che ne provocava una diminuzione d'altezza mettendo a rischio la sicurezza della città. Si presume che, per aumentare l'elevazione in vista del probabile arrivo dei Cartaginesi, in seguito a un vistoso insabbiamento gli antichi abitanti della città decisero di realizzare una sopraelevazione in mattoni crudi che risulta in qualche tratto imperfetta, probabilmente a causa della premura dettata dalla preoccupazione del momento. Una tecnica sicuramente più rapida e meno costosa. È inoltre ipotizzabile che l'orografia della zona si presentasse in maniera differente da quella attuale, con le mura poste direttamente a picco sul burrone della collina scoscesa sulla costa.

Sul lato meridionale delle mura si nota il basamento di un terzo torrione di avvistamento che assieme agli altri fa dedurre che la cinta muraria dovesse essere dotata a tratti regolari di torri di servizio. Poco dopo si apre una postierla ad arco ogivale e cieca, che serviva per le escursioni notturne.

Ancora dopo, a livello del terreno si possono notare delle canalette di scolo che costituiscono lo scarico del sistema di raccolta delle acque meteoriche di cui le mura erano dotate. Proseguendo sino all'angolo verso sud-est le mura vedono progressivamente aumentare la loro altezza sino a superare i 10 metri e, oltre l'angolo, presentano una serie di contrafforti ortogonali alla parete.[2]

All'interno del perimetro delle mura, verso nord, è stato riportato alla luce il quartiere militare con resti degli edifici con gli alzati in mattoni crudi. Poco distante è stato scoperto un vasto quartiere residenziale di epoca timoleontea che ha dimostrato l'estensione della città a ridosso delle fortificazioni. Durante gli scavi della fine degli anni quaranta nella zona a est delle mura sono venute alla luce delle casermette poi nuovamente coperte. In quest'ultima zona, già soggetta a scavi archeologici ai primi del 1900, sono ancora presenti rotaie e mezzi meccanici abbandonati adibiti agli scavi. Nel 2006, durante i lavori di scavo per la realizzazione di un parcheggio multipiano, nelle vicinanze del parco, è stata scoperta la testa in marmo bianco di una statua greca.[2]

Capo Soprano è sempre stata una zona importante per la sua valenza militare grazie alla posizione alta sul mare e sulle montagne a nord della vasta pianura gelese, tanto che per riportare alla luce le mura è stato necessario abbattere numerosi bunker realizzati durante la seconda guerra mondiale sopra le dune sabbiose.

L'importanza della scoperta

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Importanti testimonianze di sistemi difensivi della città greca sono stati messi alla luce in diverse località, anche italiane (a Vibo Valentia, Reggio Calabria e Agrigento, ad esempio), ma ciò che rende importanti le mura greche scoperte nel 1948 a Gela è lo straordinario grado di conservazione della parte realizzata in arenaria (praticamente intatta) e, soprattutto, dell'elevato in mattoni crudi che a causa della natura del materiale risulta difficilissimo da conservare, specie dopo quasi 2400 anni dalla realizzazione. Il tratto di fortificazioni rimesso in luce, infatti, in alcuni punti raggiunge un'altezza di quasi 10 metri così come si presentava agli occhi degli antichi geloi e agli invasori provenienti dal mare.

Altro aspetto che fa di questo ritrovamento una delle scoperte più importanti dell'archeologia classica del XX secolo è la testimonianza dell'importanza che veniva data dagli antichi Greci alla progettazione anche nel campo delle opere di ingegneria difensivo-militare. Le mura di Gela sono state progettate da un architetto nei minimi dettagli, con accorgimenti e strutture di vario tipo destinate a scopi specifici come, ad esempio, la protezione dagli agenti atmosferici o l'inserimento dell'opera nel contesto paesaggistico. Torri, scale, camminamenti, scoli, contrafforti e altri particolari fanno pensare a un sistema difensivo complesso per una città che, posta in cima a una collina costiera, doveva apparire quasi inespugnabile e immane, così come la definisce miticamente Virgilio nella sua Eneide.

La collina su cui sorgono le mura Timoleontee vista dal mare
La vista panoramica che si ammira dalle mura Timoleontee

Le mura si trovano all'interno di una vasta zona demaniale che fa da cerniera tra la città moderna e la costa a ovest del porto rifugio. Negli anni cinquanta in seguito agli scavi archeologici si è proceduto al rimboschimento dell'area con la piantumazione di alberi di eucalipto. Negli anni ottanta la Soprintendenza ai beni culturali ha realizzato una recinzione in modo da proteggere il sito e permettere l'ingresso ai visitatori tramite biglietto. Sin dagli anni sessanta il parco nei mesi estivi è sede di rappresentazioni teatrali (tragedie greche, anche), concerti e gare sportive. Oltre alla biglietteria e ai servizi igienici posti all'ingresso, nei pressi delle mura è presente un antico casolare con vista sul golfo, un tempo adibito a casa del custode, poi ad Antiquarium iconografico e oggi in disuso. Accanto al parco si trova, oramai in rovine, una fabbrica di lavorazione della liquirizia e di altri prodotti naturali locali risalente ai primi del Novecento con una ciminiera a pianta circolare realizzata in mattoncini. Lungo il percorso di visita che dall'ingresso conduce alle rovine si scorgono due forni scavati nella sabbia, formati da una struttura circolare in mattoni di piccole dimensioni e la cui datazione, di certo posteriore a quella delle mura, non è mai stata stabilita con certezza, ritenendo genericamente tali opere come medievali.

Poco distante dal parco delle Mura greche, oltre agli importanti ritrovamenti di necropoli preistoriche in località Piano Notaro (propaggine della collina verso nord-ovest) e le necropoli di età greco-arcaica in località Palazzi (zona a nord dell'attuale ospedale), sempre nei primi anni cinquanta è stato riportato alla luce parte di un sofisticato e ben conservato impianto termale greco, coevo alle mura (IV secolo a.C.) e distrutto insieme alla città in seguito a un incendio nel 282 a.C. Si tratta dell'impianto di bagni di epoca greca più antico scoperto in Italia. Esso era dotato di un sistema sotterraneo di riscaldamento dell'acqua e di numerose vasche di dimensioni differenti adibite a scopi diversi. Dal punto di vista storico rappresenta un'importante testimonianza di come venivano realizzate strutture di questo tipo all'interno della città greca, le quali costituiranno un modello di base per le più complesse terme di epoca romana. I bagni sono visitabili in via Europa.

Il 24 aprile 1997 le Poste Italiane hanno emesso un francobollo da 750 lire dedicato a queste mura.[3]

  1. ^ Memorie del contadino che ritrovò le Mura di Gela, su reportagesicilia.blogspot.com, 21 luglio 2017.
  2. ^ a b c d e Valentina Dattilo, Alla riscoperta delle antiche Mura Timoleontee, su gela.italiani.it, 12 ottobre 2017. URL consultato l'11 gennaio 2020.
  3. ^ Decreti, Delibere e Ordinanze Ministeriali, in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 130, 6 giugno 1997, p. 13.
  • Dorothy Amberts, Il Messaggero - Tacita invasione dei barbari, Book Sprint Edizioni, 2016, p. 109.
  • Pietro Saitta, Spazie e società a rischio, 2ª ed., Think Thanks Edizioni, 2011, p. 142, ISBN 9788896367070.

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