Discorso di Udine
Il discorso di Udine è un famoso discorso pronunciato da Benito Mussolini a Udine il 20 settembre 1922 in occasione di una adunata fascista. Il titolo ufficiale del discorso era: "L'azione e la dottrina fascista dinanzi alle necessità storiche della Nazione". Fu poi pubblicato nello stesso anno a Firenze da "Carpigiani e Zipoli".
Questo discorso apre la prima fase della politica economica fascista, che va dal 1922 al 1925. Centro di questa politica è il liberalismo, interpretato dal fascismo in un'accezione diversa da quella classica e che non esclude l'intervento statale a supporto delle iniziative individuali. Con questo discorso Mussolini rende palese il virare delle sue simpatie: da sostenitore della repubblica, egli si avvicina alla monarchia, in ottica preparatoria in vista della marcia su Roma, che sarebbe avvenuta solo poche settimane dopo (28 ottobre 1922).
I contenuti
[modifica | modifica wikitesto]Il discorso di Udine anticipa le modalità comunicative dei discorsi del futuro duce e della linea politica fascista. Dal punto di vista formale, il discorso è paradigmatico: Mussolini consolida le idee utilizzando pochi punti chiari e semplici, imposti come imperativi del regime, esposti in brevi sezioni del discorso autoconclusive e molto esplicite. Mussolini premette che avrebbe fatto "una eccezione alla regola che mi sono imposta: quella, cioè, di limitare al minimo possibile le manifestazioni della mia eloquenza", e promette un discorso "squisitamente fascista, cioè scheletrico, aspro, schietto e duro".
Il richiamo a Roma immortale
[modifica | modifica wikitesto]«Eleviamo, dunque, con animo puro e sgombro da rancori il nostro pensiero a Roma, che è una delle poche città dello spirito che ci siano nel mondo, perché a Roma, tra quei sette colli così carichi di storia, si è operato uno dei più grandi prodigi spirituali che la storia ricordi; cioè si è tramutata una religione orientale, da noi non compresa, in una religione universale, che ha ripreso sotto altra forma quell'imperio che le legioni consolari di Roma avevano spinto fino all'estremo confine della terra. E noi pensiamo di fare di Roma la città del nostro spirito, una città, cioè, depurata, disinfettata da tutti gli elementi che la corrompono e la infangano; pensiamo di fare di Roma il cuore pulsante, lo spirito alacre dell'Italia imperiale che noi sogniamo.»
La disciplina
[modifica | modifica wikitesto]«Io sono per la rigida disciplina. Dobbiamo imporre a noi stessi la più ferrea disciplina, perché altrimenti non avremo il diritto di imporla alla nazione. Ed è solo attraverso la disciplina della nazione che l'Italia potrà farsi sentire nel consesso delle altre nazioni. La disciplina deve essere accettata. Quando non è accettata, deve essere imposta.»
La violenza
[modifica | modifica wikitesto]«La violenza non è immorale. La violenza è qualche volta morale. Noi contestiamo a tutti i nostri nemici il diritto di lamentarsi della nostra violenza, perché paragonata a quelle che si commisero negli anni infausti del '19 e del '20 e paragonata a quella dei bolscevichi di Russia, dove sono state giustiziate due milioni di persone, e dove altri due milioni di individui giacciono in carcere, la nostra violenza è un gioco da fanciulli. D'altra parte la nostra violenza è risolutiva, perché alla fine del luglio e di agosto in quarantotto ore di violenza sistematica e guerriera abbiamo ottenuto quello che non avremmo ottenuto in quarantotto anni di prediche e di propaganda. Quindi, quando la nostra violenza è risolutiva di una situazione cancrenosa, è moralissima, sacrosanta e necessaria.»
Le masse
[modifica | modifica wikitesto]«Voi sapete che io non adoro la nuova divinità: la massa. È una creazione della democrazia e del socialismo. Soltanto perché sono molti debbono avere ragione. Niente affatto. Si verifica spesso l'opposto, cioè che il numero è contrario alla ragione. In ogni caso la storia dimostra che sempre delle minoranze, esigue da principio, hanno prodotto profondi sconvolgimenti nelle società umane.»
La politica estera
[modifica | modifica wikitesto]«Alla fine della guerra è evidente che non si è saputo fare la pace. C'erano due strade: o la pace della spada o la pace della approssimativa giustizia. Invece, sotto l'influenza d'una mentalità democratica deleteria, non si è fatta la pace della spada occupando Berlino, Vienna, Budapest, e non si è fatta nemmeno la pace approssimativa della giustizia.»
La monarchia
[modifica | modifica wikitesto]«Noi, dunque, lasceremo in disparte, fuori del nostro gioco, che avrà altri bersagli visibilissimi e formidabili, l'Istituto monarchico [...] Oggi molti sono indifferenti di fronte alla monarchia; domani sarebbero, invece, simpatizzanti, favorevoli e si troverebbero dei motivi sentimentali rispettabilissimi per attaccare il fascismo che avesse colpito questo bersaglio. In fondo io penso che la monarchia non ha alcun interesse ad osteggiare quella che ormai bisogna chiamare la rivoluzione fascista. Non è nel suo interesse, perché se lo facesse, diverrebbe subito bersaglio, e, se diventasse bersaglio, è certo che noi non potremmo risparmiarla perché sarebbe per noi una questione di vita o di morte. Chi può simpatizzare per noi non può ritirarsi nell'ombra. Deve rimanere nella luce. Bisogna avere il coraggio di essere monarchici. Perché noi siamo repubblicani? In certo senso perché vediamo un monarca non sufficientemente monarca. La monarchia rappresenterebbe, dunque, la continuità storica della nazione. Un compito bellissimo, un compito di una importanza storica incalcolabile.»
Due anni dopo, Piero Gobetti invocherà questa parte del discorso di Udine per dimostrare che il sequestro della sua rivista, avvenuto nel giugno 1924, non costituiva vilipendio della monarchia[1].
La distruzione della democrazia
[modifica | modifica wikitesto]«Ormai le cose sono molto chiare. Demolire tutta la superstruttura socialistoide-democratica.»
L'economia
[modifica | modifica wikitesto]«Noi siamo per la collaborazione di classe, specie in un periodo come l’attuale di crisi economica acutissima. Vogliamo spogliare lo Stato da tutti i suoi attributi economici. Basta con lo Stato ferroviere, con lo Stato postino, con lo Stato assicuratore, Basta con lo Stato esercente a spese di tutti i contribuenti italiani ed aggravante le esauste finanze dello Stato.»
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Piero Gobetti, Carteggio 1924, a cura di E. Alessandrone Perona, Einaudi, Torino, 2023, p. 507 (lettera 12 giugno 1924 da Piero Gobetti a Emilio Lussu).
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Benito Mussolini, Il discorso di Udine, Tipografia Carpigiani e Zipoli, Firenze 1922
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Benito Mussolini
- Dottrina del fascismo
- Discorso del bivacco
- Discorso del 3 gennaio 1925
- Discorso della riscossa
- Fascismo
- Politica economica fascista
- Squadrismo