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Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/96

Da Wikisource.

lucifero


    305Parla un’ombra così: — Socrate fui,
E tra’ mortali un’altra volta io vegno,
Chè contro a questi nebulosi e bui,
Che mal di saggi han nome, arde il mio sdegno.
Solo del vero io parlerò, di lui,
310Ch’unico iddio su la natura ha regno;
E, perchè al fronte suo l’ombra sia tolta,
Beverò la cicuta un’altra volta! —

    Dice un altro fantasma: — Al vulgo iniquo,
Che tanto omai del suo poter presume,
315Tal esempio darò, che da l’obliquo
Calle il ritragga d’ogni rio costume;
Chè ove manca a virtù l’ossequio antiquo,
Splender non può di Libertade il lume;
E ognun, che insorga al patrio onor rubello,
320Sappia ch’io vivo, e Focíon m’appello. —

    — O voi, dice una terza ombra, ch’eletti
Siete in terra a portar le regie some,
Al patrio ben primi volgete i petti,
E le stranie falangi allor fien dòme.
325Codro son io; dei popoli soggetti
Fui padre, e l’aureo serto ebbi a le chiome;
Ma la Grecia a salvar, gittai con forte
Animo il serto, ed abbracciai la morte. —

    S’avanzarono altr’ombre. A la fanciulla
330Su le stanche pupille il sonno scese,
Mentre la luna a la campagna brulla
Un ultimo piovea raggio cortese.
Vigile, con inqueto animo sulla
Terra le membra il pellegrin distese:
335E al dileguar de le notturne larve
Novo prodigio in su ’l mattin gli apparve.



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