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Pagina:Galileo e l'Inquisizione.djvu/7

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appena ad ottenere la formalità che il caso fosse deferito all’esame d’una Congregazione particolare; ma appena questa ebbe dato il suo parere, che del resto non era dubbio, venne ordinato all’Inquisitore di Firenze di intimare a Galileo che comparisse innanzi al Commissario del Sant’Uffizio in Roma. Le ansie crudeli e il timore del peggio danneggiando la scossa salute dell’infelice filosofo al quale si ricusa qualunque proroga, lo fanno cadere ammalato: tre medici chiamati al suo letto dichiarano che ogni piccola causa esterna potrebbe apportargli pericolo evidente della vita, ma Urbano VIII ravvisandovi un pretesto per eludere i suoi ordini, fa scrivere all’Inquisitore che la Congregazione del Sant’Uffizio manderà a spese di Galileo in Firenze un commissario accompagnato da medici i quali, se lo troveranno in grado di mettersi in viaggio, lo faranno carcerare e legare con catene, e così legato lo tradurranno a Roma. Il Granduca istesso, atterrito dalla fierezza del Pontefice il quale, al dire dell'ambasciatore Niccolini[1], minacciava qualche stravaganza, non sa più resistere, e fa intendere a Galileo che ad ogni modo obbedisca e parta per Roma. E nel più crudo dell’inverno, fra i pericoli della morìa che dilagava per tutta Italia — di quella stessa morìa della quale è eternata la spaventosa memoria nelle pagine immortali dei Promessi sposi — Galileo parte per Roma. Urbano VIII lo ha finalmente a sua discrezione.

Tornerebbe affatto superfluo il seguire qui passo a passo lo sventurato filosofo lungo la via dolorosa di questo secondo processo. Tutto per filo e per segno, e con una crudezza che nessun commento potrebbe aumentare, dicono i documenti del truce dramma, per poco non volto in tragedia, e che l’Edizione Nazionale mette in luce così integralmente come ce li conservarono gli Archivi, riproducendo perfino le sottoscrizioni di Galileo a quei tremendi costituti e dalle quali, pur come sono vergate, trasparisce la crescente agitazione nell’animo dell’augusto vegliardo.

Questi documenti, al pari di tutti gli altri relativi ai processi che si trattavano nel Tribunale della Sacra Inquisizione, erano originariamente custoditi nell’Archivio del Santo Uffizio in Roma e distribuiti in due serie parallele: una delle quali, col titolo di Decreta, conteneva i verbali o i sunti dei verbali e le decisioni della Congregazione; nell’altra erano, od almeno avrebbero dovuto essere, tutti gli atti delle procedure contro gl’imputati, gli esami di questi e