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Marco Revelli

storico e sociologo italiano (1947-)

Marco Revelli (1947 – vivente), politologo, sociologo e storico italiano.

Citazioni di Marco Revelli

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  • È possibile ricostruire un marxismo nel silenzio? Costanzo Preve ci prova. E su questa via si impone un compito molto ambizioso: sottrarre la filosofia del materialismo storico — sono parole sue — alla doppia impasse dei marxismi orientale e occidentale, chiusi entrambi nell'accettazione del socialismo reale (il primo) e del capitalismo reale (il secondo) come "orizzonti intrascendibili". Un compito che lo porta a gettare a mare buona parte dei fondamenti ideologici del marxismo novecentesco, ripercorrendo a ritroso quasi un secolo e mezzo alla ricerca del filo perduto tra le diverse avventure dei marxismi. E a rischiare, nel contempo, il confronto con gli altri — con i "pensatori epocali" come Weber e Heidegger, che seppero pensare radicalmente la modernità.[1].
  • Noi invece applicammo lo schema dell'operaismo alle catene di montaggio della Fiat, identificando nell'operaio concreto che vedevamo il soggetto che l'operaismo ci aveva disegnato. Ma applicammo quello schema in modo rozzo, volgare, senza fare alcun passo in avanti, senza cogliere i limiti di quella pura e semplice descrizione sociologica del soggetto, limitandoci a far circolare i contenuti delle lotte, a fare i postini del soggetto operaio con i volantini da una porta all'altra di Mirafiori, a informare i diversi reparti su ciò che facevano gli altri, senza aggiungere nulla a ciò che quella lotta era in grado di fare.[2]
  • Eppure non è mai venuto meno un aspetto fondamentale di quell'ispirazione originaria, ovvero il rifiuto del minoritarismo, che credo sia validissimo anche nella situazione odierna. Insomma, anche oggi il problema non è di creare una piccola sinistra: o si riesce a creare una grande sinistra oppure non vale la pena di impegnarsi a fare nulla.[2]
  • Il progressismo è la malattie senile del riformismo.[2]
  • Il 12 dicembre 1969 segna una frattura, nella storia della repubblica [...] perché effettivamente, allora, insieme a sedici persone comuni, morì un pezzo significativo della prima repubblica: una parte consistente dell'apparato statale passò consapevolmente nell'illegalità. Si pose come potere criminale continuando a occupare istituzioni vitali ed essendone tollerato (sono migliaia i 'servitori dello Stato', poliziotti, giudici, agenti segreti, politici, cancellieri, ministri, passacarte e uomini di mano che hanno cooperato per realizzare e poi coprire, depistare, insabbiare, rendere impunibile quel delitto). È da allora che l'Italia ha cessato di essere una democrazia costituzionale in senso pieno. (da Le due destre, Bollati Boringhieri, 1996)
  • [Sul governo Conte] Per ottanta giorni e passa i pallidi dirigenti del Pd ma soprattutto la stampa mainstream non hanno smesso un secondo di irridere, stigmatizzare, denunciare il pressapochismo, il dilettantismo, la "mancanza di cultura di governo" (o di cultura tout court) dei "vincitori-non vincitori", sfoderando sorrisetti di superiorità, senz'accorgersi che così non li si delegittimava ma al contrario li si rafforzava.[3]

Intervista di Antonietta Demurtas, lettera43.it, 3 dicembre 2013.

  • Il sindacato è morto già da tempo, è ormai un ceto politico che galleggia in questo mondo sperando di non essere trascinato nel gorgo. Ma che ormai quel mondo non lo rappresenta più. Si può riposizionare come forma di patronato, fornitore dei servizi, gestore dei pensionati, o nel caso più nobile può tutelare i diritti residui della classe operaia salariata di antico regime.
  • Il mondo è andato da un'altra parte e il sindacato non ha capito la portata di questa sfida, che viene da lontano, dal passaggio tra gli Anni 70 e gli 80 e che in Italia si è materializzata nei 35 giorni della Fiat.
  • A Prato è avvenuto un rovesciamento epocale: la forza lavoro servile cinese che gli imprenditori italiani per primi hanno fatto affluire e hanno gestito, perché meno costosa di quella italiana, si è rivoltata loro contro.
  • Ricordiamoci che il meccanismo secondo cui gli operai italiani hanno iniziato a lavorare per i cinesi e i cinesi poveri per i loro connazionali arricchiti non è avvenuto contro la volontà degli imprenditori pratesi.
  • Quello che è successo a Prato è un grumo di verità del nostro tempo: la globalizzazione anziché distribuire nel mondo i diritti, importa le condizioni di lavoro delle periferie dove i diritti erano stati conquistati. Come ha scritto Il manifesto «prima la Cina era vicina, ora la Cina del turbo capitalismo senza leggi è dentro di noi».

Lavorare in Fiat

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Epilogo di una sconfitta. Operai senza fabbrica
Ci sono giornate di vento, a primavera, in cui Torino pare di vetro. Le distanze allora si abbreviano fino a scomparire e, nella luce trasparente e fredda, tutto sembra confluire in un unico punto: ovunque si sia è ovunque. D'inverno, invece, Torino si fa d'un grigio terrigno, come un blocco di roccia compatta. E i flussi di vita che l'attraversano nelle strade simmetriche si riducono a sorde vibrazioni lungo le venature chiare che l'incrinano.
Comunque sia, Torino appartiene al regno minerale. Per "vivere", ha sempre richiesto grandi energie che l'agissero, passioni forti che l'animassero dall'interno. Creatura ctonia incapace di adattarsi alle superfici, quando la tensione s'acquieta finisce per riflettere, lungo le sue semplici geometrie, l'inerzia e l'angoscia.

Citazioni

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Da una parte il mondo antico, ancora abitato da soggetti collettivi, che sia pure fra errori e ingenuità, seppero comunque elaborare una loro "etica della solidarietà", diversa e contrapposta da quella dell'individualismo acquisitivo, egualitaria e comunitaria. Dall'altra parte il mondo nuovo, dell'abbondanza e della solitudine, fondato sull'"etica della sopravvivenza", in cui al conflitto è sostituita la competizione, ai diritti il successo. E dove ci si salva o si fallisce da soli.

Incipit di Controcanto

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Normale che il capo del governo attacchi in forma esplicita e addirittura «violenta» — anche in significativi ambiti internazionali — altri fondamentali poteri dello Stato, rompendo quel minimo di coesione istituzionale essenziale in ogni ordinamento democratico. E che il capo dello Stato debba intervenire a giorni alterni per correggere, mitigare, tentare di contenere l'opera di destabilizzazione istituzionale del capo del governo.
Normale che i presidenti dei due rami del Parlamento usino le rispettive cariche per regolare i conti interni al medesimo partito di maggioranza, come è avvenuto clamorosamente nello scorso mese di dicembre.
Normale persino che l'unico ostacolo visibile alla politica personale del presidente del Consiglio in Parlamento sia apparsa negli ultimi mesi una figura come Gianfranco Fini, cioè l'altro cofondatore del Partito delle libertà, come accade solo nei regimi a partito unico. E che ci tocchi sentire in televisione uno come Edward Luttwak, che certamente non è né un comunista né un giustizialista, spiegarci che l'anomalia italiana, vista dagli Stati Uniti, è l'assenza di opposizione.

  1. Da Marxismo in solitudine, recensione a Costanzo Preve, La filosofia imperfetta. Una proposta di ricostruzione del marxismo contemporaneo su l'Indice dei libri del mese, gennaio-febbraio 1985, anno II, N. 1.
  2. a b c Da Quando Nietzsche incontrò Marx: per un bilancio storico dell'operaismo italiano, in Un'onda vi seppellirà, supplemento a MicroMega 2008, n. 6, pp. 179 e segg. ISSN 97703497371038004
  3. Da Il voto come un'antica festa crudele. Vince la cattiveria, editoriale Ilmanifesto.it, 27 giugno 2018.

Bibliografia

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  • Marco Revelli, Controcanto, Chiarelettere, 2010. ISBN 9788861901001
  • Marco Revelli, Lavorare in Fiat. Da Valletta ad Agnelli a Romiti. Operai sindacati robot, Garzanti, 1989. ISBN 881165680X

Altri progetti

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