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Louis Marie de Lahaye de Cormenin

consulente legale, giornalista, avvocato, politico

Louis Marie de Lahaye, barone e visconte di Cormenin (1788 – 1868), avvocato e politico francese.

Louis Marie de Lahaye de Cormenin

Citazioni di Louis Marie de Lahaye de Cormenin

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  • Senza inamovibilità [dei giudici] non vi ha indipendenza; e senza indipendenza non vi è buona giustizia. È dunque nell'interesse de' cittadini che i giudici siano inamovibili, com'è nell'interesse dello Stato che gli amministratori siano rivocabili. L'amovibilità de' giudici nelle materie del contenzioso amministrativo ha gravi inconvenienti. Essa espone la giurisprudenza ad oscillazioni continue. Essa curva i giudici deboli, timidi, poveri, sotto l'opinione dominante del Ministero; perchè la conservazione dei loro posti può dipendere dalla flessibilità delle loro compiacenze. Non è la legge che allora forma la loro regola, ma l'opinione del Ministero.[1]

Studi sull'eloquenza parlamentaria

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Volume I

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  • Quattro cose debbono considerarsi nella eloquenza parlamentaria: il carattere della nazione, il genio delia lingua, i bisogni politici e sociali dell'epoca, la fisonomia dell'uditorio.
    Se il carattere della nazione è taciturno e freddo, come quello degli Americani e degl'Inglesi, s'incontrerà fatica a scuoterli. Dotati di pazienza, siccome sono, non si stancheranno più a parlare che ad ascoltare: rimarranno seduti per ore intere ad udire un oratore, nel modo stesso che a fumare o a bere.
    Se, per lo contrario, il carattere della nazione è irritabile e mobile, come quello de' Francesi, basterà toccarli perché si credan feriti, basterà percuoterli leggermente sulla spalla perché si rivolgano. I lunghi discorsi ci annoiano; e quando il Francese s'annoja, abbandona il posto e se ne va; se non può andarsene, rimane e parla; se non può parlare, sbadiglia e si addormenta. (vol. I, studio I, p. 5)
  • L'eloquenza non ha tutta la sua azione, la sua azione forte, simpatica, commovente, che sul popolo. Vedete O'Connell, il più grande, il solo oratore forse de' moderni tempi! Quale colosso! Come si mostra ritto quanto egli è lungo! Come la tonante sua voce domina e governa il flutto della moltitudine! Io non sono Irlandese: non ho mai veduto O'Connell; non conosco la sua lingua; lo ascolterei senza intenderlo. (vol. I, studio I, p. 11)
  • Donde [...] deriva che sianvi sì pochi buoni scrittori e tanti oratori valenti? Egli è perché è più difficile scriver bene che ben parlare. Nell'oratore vi è più natura, più arte nello scrittore. E un'arte in fatti, l'arte di scrivere; e tale, che richiede molta fatica, gravi studi, meravigliosa pazienza ed assiduità. (vol. I, studio I, p. 15)
  • Manuel era di alta statura, pallido e malinconico di volto, avea l'accento provinciale ma sonoro, ed una grande semplicità di maniere.
    Le difficoltà erano per lui più presto disnodate che tronche: egli, con una destrezza incomparabile, girava intorno ad ogni quistione, la interrogava, la palpava, ed in tal qual maniera la scandagliava nei fianchi e nelle reni per conoscere ciò ch'essa rinchiudesse, e ne rendeva conto all'assemblea senza ommissione e senza enfasi. (vol. I, studio XI, p. 83)
  • Non egli [Jacques-Antoine Manuel] lasciavasi trasportare dalle grida e dai gesti, come que' retori apoplettici che sudano ed anelano sotto i mantelli, e fanno temer sempre che i loro polmoni non si riempiano di sangue, per cui siano costretti a vomitarlo con l'ultima loro parola! Egli era un uomo dotato di alta ragione, naturale, senza belletto, padrone sempre di sé medesimo, brillante e facile di lingua, abile nell'arte di esporre, di riepilogare, di concludere. Tali qualità sedussero la Camera dei rappresentanti. (vol. I, studio XI, p. 83)
  • Manuel fu il più rimarcabile improvvisatore della sinistra. La sua dizione era pienamente parlamentaria, non sopraccaricata di ornamenti ambiziosi, corretta, non irressistibile, ma nemmeno fiacca. Forse era un po' lungo, un po' diffuso, senza cessare di essere chiaro; ma però ripetevasi, siccome tutti i parlatori dotati di estrema facilità.
    Qualche volta opinava per iscritto in materia di finanze. I suoi discorsi sono compilati con chiarezza, ma senza grandi vedute, senza profondità e senza stile. Manuel, alla maniera degl'improvvisatori, si appropriava rapidamente le altrui idee, ed abilmente e discretamente le riproduceva. Non era però né amministratore, né filosofo, né finanziere, né economista. (vol. I, studio XI, p. 86)
  • La carriera oratoria di De Serre fu breve: ma come fu ella riempita! Quale energia di volontà! quale potenza di argomentazione! qual forza, quale pienezza, quale varietà ne' suoi discorsi! quanti combattimenti! quante vittorie! Come vola egli in soccorso degl'impiegati contro i classificatori, gli epuratori, i delatori! Con quale calore arringa contro gli oratori sostenitori della banca-rotta, i quali, per annullare o diminuire la sicurezza dei creditori arretrati, diffamavano l'origine e la causa de' loro titoli! Come fece egli arrossire i denunciatori dell'illustre Massena! (vol. I, studio XII, p. 98)
  • Ministro, de Serre continuò a camminare nella via del progresso. Il suo codice della stampa fu un opera allora liberalissima; opera prodigiosamente difficile per la elaborazione della materia, opera completa per la definizione dei delitti, per le vie di procedura, per l'articolazione delle pene. (vol. I, studio XII, pp. 98-99)
  • Villèle fu, sotto la Restaurazione, il capo della diritta[2]. Era egli uomo di portamento al quanto volgare, gracile, piccolo di statura, con occhi penetranti, lineamenti irregolari ma espressivi, voce nasale ma accentata. Non era oratore ed era più che oratore, perché aveva la capacità di un politico. Appena comparve, s'impadronì della tribuna. Gli uomini del suo partito avevano più impeto che prudenza: ei li sottopose al freno e li disciplinò. (vol. I, studio XIII, p.109)
  • Villèle non avea fiori nello stile, non pompa nelle immagini, non veemenza nell'orazione, non connessione nella dialettica: ma era chiaro, pieno, fermo, ragionevole, positivo. (vol. I, studio XIII, pp. 109-110)
  • [Villèle] Se la natura gli aveva negato i doni, più brillanti che solidi, dell'immaginazione e dell'eloquenza, aveagli dato però in sommo grado quel senso diritto, quel colpo d'occhio pronto dell'uomo di Stato che vede presto e bene, che separa ciò che vi ha di falso nel vero e di vero nel falso, che prepara la sua replica con vivacità nel tempo stesso che riceve l'attacco senza emozione, che non avanza di troppo per timore di imbarazzarsi, né indietreggia soverchiamente per non cadere nel precipizio, e che, padrone del terreno perché lo scandaglia ad ogni passo, padrone delle sue posizioni perché le domina, profitta di tutti gli errori dell'inimico, e decide la vittoria più per la strategìa che pel valore. (vol. I, studio XIII, p. 110)
  • I discorsi di Foy non eguagliano, per la forza del pensiero, per l'immaginazione dello stile, pel concatenamento dei ragionamenti, per la veemenza, per la profondità, per la finezza, quelli di Royer-Collard e di B. Constant. Essi peccano pel colorito di una falsa rettorica, e sono vere amplificazioni scolastiche, in paragone delle famose arringhe della Grecia e di Roma. (vol. I, studio XIV, p. 115)
  • Il generale Foy avea quella specie di splendore misto di falso e di vero che abbaglia il volgo delle assemblee. (vol. I, studio XIV, pp. 115-116)
  • Aveva il generale Foy l'esteriore, il contegno, il gesto dell'oratore, memoria prodigiosa, voce sonora, occhi scintillanti, movimenti di testa cavallereschi. L'alta sua fronte splendeva d'entusiasmo o s'increspava di collera: percuoteva allora il marmo della tribuna, ed assomigliava un po' alla sibilla sul suo tripode: si dibatteva argomentando, spumeggiava senza contorsioni e, direi quasi, con grazia. Sovente lo si vedea alzare bruscamente dal suo banco e dare la scalata alla tribuna, come corresse alla vittoria. Ivi gettava le sue parole con aria altera, alla maniera di Condé, lanciando il suo baston di comando al di sopra delle ridotte dell'inimico. (vol. I, studio XIV, p. 116)
  • Si paragoni [...] il ministro Martignac al ministro Périer. Il primo parte dal dispotismo ed arriva, sebbene a passi lenti, alla libertà; il secondo parte dalla libertà, e cammina rapidamente verso il dispotismo. L'uno spiritoso, insinuante, affettuoso nelle maniere, urbano di lingua, conciliatore nelle sue transazioni: l'altro, duro, altero, atrabiliare, dispregiatore, imperioso. (vol. I, studio XV, p. 131)
  • Come oratore, Martignac avrà un posto a parte nella galleria degli uomini parlamentari. Egli cattivavasi più di quello che padroneggiasse l'attenzione. Con quale arte rispettava egli la suscettibilità vanitosa delle nostre Camere francesi! con quale ingegnosa flessibilità penetrava in tutti i lati di una quistione! quale fluidità di dizione! quale incanto! quale decenza! quale a proposito! L'esposizione dei fatti avea nella sua bocca una nitidezza ammirabile, ed egli analizzava gli argomenti de' suoi avversari con una fedeltà ed una felicità di espressioni, che provocavano sulle loro labbra il sorriso dell'amor proprio soddisfatto. (vol. I, studio XV, p. 132)
  • Royer-Collard fu il venerabile patriarca de' costituzionali realisti della Restaurazione. Egli fu il più eloquente de' nostri scrittori parlamentari. Possedeva una maniera di stile vasta e magnifica. Una parola, un solo assioma fecondato per la meditazione di quella testa robusta, ingrossava, ingrandiva, come una ghianda che divien querce, tutte le ramificazioni della quale partono dallo stesso tronco, e che, animata dalla stessa vita, nudrita dallo stesso alimento, non forma che un tutto, malgrado la varietà del suo fogliame e l'infinita moltiplicità dei suoi rami. Tali erano i discorsi di Royer-Collard, ammirabili per unità di principio, per germogli vigorosi di stile, per bellezza di forme. (vol. I, studio XVI, pp. 134-135)
  • Beniamino Constant fu l'oratore ed il pubblicista della scuola inglese: importazione stentata d'oltremare, che non si acclimaterà giammai in Francia: trinità incomprensibile di persone ineguali nel potere, diverse per origine, contrarie per volontà: costituzione bizzarra, in cui si pretende trovare l'elemento nell'amalgama, l'armonìa nell'antagonismo[3], la verità nella finzione, il movimento nella resistenza, la vita nella morte: sistematica divisione in gerarchie, in caste, in monopoli, in privilegi, di una società che tende incessantemente all'agglomerazione ed alla unità: opera anti-francese e contro natura [...]. (vol. I, studio XVII, p. 140)

Volume II

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  • Guizot è piccolo e gracile, ma ha volto espressivo, un bell'occhio e molto fuoco nello sguardo. Il gesto e l'aspetto hanno alcun che di severo e di pedantesco, proprio a tutti i professori, e particolarmente a quelli della setta dottrinaria: la setta dell'orgoglio. La sua voce piena, sonora, risoluta, non si presta alle flessibili emozioni dell'anima, ma è di rado velata o sorda.
    Egli si compone ad un esteriore austero, e tutto in lui è grave, persino il sorriso. La quale severità di costume, di portamento, di massime e di linguaggio, non dispiace, forse a cagione del contrasto che offre colla leggerezza dello spirito francese. È un pedagogo nella sua cattedra, che lascia sempre travedere sotto la veste una piccola parte del suo staffile. (vol. II, studio XVIII, pp. 5-6)
  • Thiers ha abbandonato gli amici, rinnegato le dottrine: egli ha servito al realismo d'instrumento buono a tutto, adatto a tutto; fu uno di quegli strumenti che si piegano senza rompersi, si curvano sino a congiungere le opposte estremità, indi si raddrizzano come un arco, tanta è la loro elasticità. (vol. II, studio XIX, p. 22)
  • Il volto di Thiers non ha espressione; le forme del suo corpo son prive di eleganza: ha nel suo cicaleggio alcun che di pettegola, nella sua andatura qualche cosa del monello. La di lui voce nasale lacera le orecchie: il marmo della tribuna gli arriva alle spalle e lo nasconde, quasi, al suo uditorio. Conviene aggiungere che nessuno ha fede in lui, nemmeno egli stesso, e che la sua proverbiale scaltrezza finirebbe di togliergli quel po' di morale illusione che alcuno potrebbe formarsi ascoltandolo. (vol. II, studio XIX, p. 23)
  • La natura ha trattato Berryer da favorito. Non è alta la sua statura, ma il volto di lui, bello ed espressivo, dipinge e riflette tutte le passioni dell'anima. L'altero suo capo domina l'assemblea, ed ha il gesto meno secco, meno risoluto, più nobile di Guizot. Ma ciò che si ravvisa d'incomparabile al di sopra di tutti gli altri oratori della Camera, è il suono della sua voce, il primo de' pregi per gli attori e per gli oratori. (vol. II, studio XX, pp. 46-47)
  • [...] Berryer non va debitore della sua preminenza soltanto alla fortunata casualità delle esterne sue doti[4]: egli è maestro altresì nell'arte oratoria. La maggior parte degli altri parlatori si abbandonano all'estro delle loro inspirazioni, ed incontrano, nel disordine delle escursioni, bellissimi movimenti. Mancano però di metodo, né si sa bene, né il sanno eglino stessi, di dove partano e dove vogliano arrivare: si riposano cammin facendo, e si arrestano per riconoscere la loro strada. Ciò che rende Berryer superiore ad essi si è, che, fin dal principio del suo discorso, egli mira, come da un punto elevato, lo scopo a cui tende. Non attacca egli bruscamente il suo avversario, ma comincia per tracciare intorno a lui parecchie linee di circonvallazione, lo scaccia di posizione in posizione, lo inganna con sapienti marcie, gli si avvicina a poco a poco, lo segue, l'inviluppa, lo stringe e lo soffoca tra le formidabili spire della sua argomentazione. (vol. II, studio XX, pp. 47-48)
  • Uomo di mondo, uomo di dissipazione e di piaceri, uomo di carattere allegro, Berryer non è naturalmente laborioso. Egli è per altro dotato di grandissima attitudine per gli affari: nessuno, quando il voglia, approfondisce meglio di lui una questione e ne riunisce i particolari con più curiosa investigazione, componendone un insieme più sapiente[5] e meglio ordinato. (vol. II, studio XX, p. 50)
  • [...] ciò che nessuno stenografo riprodurrà giammai, si è la voce di Berryer, quella voce le di cui corde penetrano la fibra delle organizzazioni nervose, alle quali [...] comunica, come per una specie di elettricità, le rapide emozioni della sua anima. Egli è musico per l'organo, pittore per lo sguardo, poeta per l'espressione. (vol. II, studio XX, pp. 50-51)
  • Il duca di Fitz-James è il secondo oratore del partito legittimista.
    La sua statura è alta, mobile ed espressiva la sua fisonomia. Egli ha la disinvoltura, il disimbarazzo, il fare di un gran signore che parla innanzi a de' cittadini: non usa con essi troppi complimenti: si pone a suo comodo, e discorre come fosse in veste da camera: prende tabacco, si soffia il naso, sputa, sternuta, va, viene, passeggia la tribuna da una parte all'altra: ha espressioni famigliari che lancia felicemente, e che compensano la Camera delle superbe noie dell'etichetta oratoria. Direbbesi che si compiace di ricevere la legislatura intera ad un suo lever. (vol. II, studio XXI, p. 54)
  • Quest'oratore [Édouard de Fitz-James] è alcuna volta semplice sino alla trivialità, metaforico sino alla gonfiezza, poiché ha più natura che istruzione, più talento che gusto. (vol. II, studio XXI, p. 55)
  • Il duca di Fitz-James ha, come i gentiluomini a grandi stemmi, i pregiudizi di nascita, di educazione, di famiglia, degli antecedenti, indipendentemente da quelli delle sue affezioni. Ama però la libertà e la comprende, quanto può amarla e comprenderla un duca e Pari.
    Bollente, cavalleresco, deve essere stato, al suo tempo, valoroso e risoluto. Se fosse nato plebeo, avrebbe avuto nel discorso una sorta di eloquenza franca e rozza, e nell'azione dell'audacia rivoluzionaria. Era una natura forte e felicemente organizzata, cui non mancò, un giorno, che l'occasione, oggi la gioventù. (vol. II, studio XXI, pp. 56-57)
  • [Casimir Pierre Périer] Egli attraeva i legittimisti per la secreta predilezione di Carlo X alla sua persona, né poterà essere sospetto a Luigi Filippo, non avendo giammai servito altro padrone. La sua dialettica piena di passione, lo rendeva meravigliosamente adatto a lottare contro l'Opposizione, da uomo ad uomo, da sdegno a sdegno. Era un personaggio di fatti e modi acerbi, dotato più di risolutezza parlamentaria che di coraggio personale, presto sempre a dare l'assalto alla tribuna, come, glie lo dava di fatto. (vol. II, studio XXII, pp. 60-61)
  • [Casimir Pierre Périer] L'alta sua statura persino, i suoi modi imperativi e bruschi, gli occhi velati da folte sopracciglia e pieni sempre di un rosso cupo ed ardente, compivano l'insieme della sua circostanziale superiorità. Sembrava egli fatto pel comando, né alcuno, nemmeno il vincitore di Tolosa[6], pensava a disputarglielo. (vol. II, studio XXII, p. 61)
  • [Casimir Pierre Périer] Quest'uomo bilioso aveva, negli ultimi suoi giorni, un'energia burrascosa che lo minava e trascinavalo rapidamente verso la tomba. Ei sommoveva, esaltava, per una tal quale simpatìa convulsiva, tutte quelle indegne passioni che sonnecchiavano sempre nel recondito dei cuori più tranquilli. Alla sua voce, i due partiti della Camera erano presti a scagliarsi gli uni su gli altri, e i deputati avrebber potuto considerarsi piuttosto per un ospitale di pazzi furiosi e scatenati, che per un'assemblea di gravi legislatori.
    Gli occhi di Périer gettavan fuoco e sangue: ardevano come febbre le sue parole; aveva infiammato il cervello. Egli maltrattava, spronava, tiranneggiava la maggiorità del pari che la minorità, e rendeva attoniti gli altri ministri. Non si distinguevano più allora, terzo partito, ministeriali puri, dottrinari. Périer non lasciava alle frazioni della maggiorità il tempo di riconoscersi, di numerarsi. Ei le riuniva, le comprimeva sotto le sue dita convulse, ed inviava confusamente alla pugna Dupin, Thiers, Guizot, Barthe, Jaubert, Jacqueminot e Keratry. La maggiorità non gli obbediva per convinzione, caparbietà o sistema: cedeva macchinalmente alla volontà, all'ira di quel maniaco. (vol. II, studio XXII, pp. 61-62)
  • Il camaleonte che cambia di colore in guardandolo: l'uccello che fa mille giravolte e sfugge per l'aria: le corna della luna che si celano allo sguardo sulla punta del telescopio: la navicella che, in un mare agitato, sale, scende e ricomparisce sulla cima delle onde: un'ombra che passa, una mosca che vola, il suono che fugge, tutte queste comparazioni non danno che un'imperfetta idea della rapidità delle sensazioni e della mobilità di spirito di Dupin. (vol. II, studio XXIII, p. 65)
  • Vi sono in Dupin due, tre, quattro uomini, una infinità di uomini differenti. Vi è l'uomo di S. Acheul e l'uomo gallicano, l'uomo delle Tuileries e l'uomo delle botteghe, l'uomo di coraggio e l'uomo pauroso, l'uomo prodigo e l'uomo economo, l'uomo dell'esordio e l'uomo della perorazione, l'uomo che vuole e l'uomo che disvuole, l'uomo del passato e l'uomo del presente, mai l'uomo dell'avvenire. (vol. II, studio XXIII, p. 66)
  • Dupin non è dotato di quella facoltà d'investigazione paziente ed applicata, che sviscera una materia ed arriva sino alle sorgenti de' principii. Da vicino, vede giusto e presto, ma non vede di lontano e per lungo tempo. Possiede la filosofia dell'esperienza, non la filosofia dell'invenzione. Non sa creare, ma adatta: scrive un manuale, ma non comporrebbe un libro. (vol. II, studio XXIII, pp. 66-67)
  • Sauzet ha l'abito dei corpi un po' molli, un po' trascurati: non è muscoloso, né articolato: la sua carnagione è bianca e leggermente colorita: ha fronte aperta, ed i suoi occhi celesti a fior di testa spirano dolcezza: vi è in lui dell'uomo e della femmina. (vol. II, studio XXIV, p. 82)
  • Sauzet è dolce, civile, affabile, moderato: cerca l'altrui benevolenza e loro comunica la sua: porta impressi nel volto, ne' sentimenti, nel parlare, un non so che di preveniente che alletta ed attrae. Se avesse più idee e fosse più positivo, avrebbe quasi i vivi fiori e la modulata cadenza di un altro oratore, semidio della poesia: dico di Lamartine fatto uomo.
    La memoria è l'agente principale della sua eloquenza. A dieci anni, recitava, parola per parola, un capitolo del Telemaco letto una sola volta!
    Egli può, in parlando, sopprimere interi frammenti di discorsi, e sostituirvi brani novelli che innesta nel tessuto medesimo tanto acconciamente come se li attaccasse con delle spille. (vol. II, studio XXIV, p. 83)
  • Sauzet è il tipo dell'orator provinciale. La sua parola vuota rende vento e si gonfia, e può dirsi più gonfia che ripiena. Essa lusinga l'orecchio, ma non giunge sino all'anima.
    Direbbesi che Sauzet fu guastato frequentando la Corte d'assise. Ei prodiga a piene mani i fiori brillanti del linguaggio, le vibrazioni armoniche, gli epiteti rumoreggianti, le metafore di collegio: rettorica vieta che non ha omai più titolo e valore nel commercio dell'eloquenza. (vol. II, studio XXIV, pp. 83-84)
  • Mauguin è uno dei tre uomini di spirito della Camera [francese]: Thiers e Dupin sono gli altri due. Thiers abbaglia per le mille sue forme, Dupin per le sue vivaci sentenze, Mauguin per lo splendore improvviso delle sue repliche. (vol. II, studio XXV, p. 94)
  • Mauguin ha fisonomia aperta, sguardo penetrante e spiritoso, voce ferma e chiara, declamazione un poco enfatica. È buon parlatore del pari che buon ragionatore; ama lottare contro il primo arrivato: si fa centro ai gruppi de' deputati che ronzano nella sala della conferenza, e mira tanto ai successi de' corridoi quanto a quelli della tribuna. (vol. II, studio XXV, p. 94)
  • [François Mauguin] Accorda molta importanza ad essere considerato (mi si perdoni il neologismo) per un uomo governamentale. Egli crede, della miglior fede del mondo, che' la maggior parte, de' suoi colleghi dell'Opposizione non intendan niente o quasi niente nelle materie di Stato: che non prediligano, non rispettino abbastanza la centralizzazione: ch'essi si perdano in troppo piccole controversie: si anneghino troppo nei dettagli; e crede che non saprebbero, siccome lui, ordire un piano dì amministrazione e menare a fine vasti disegni. Egli ha del debole pel potere, ed è più tocco della necessità dell'ordine che di quella della libertà. (vol. II, studio XXV, pp. 98-99)
  • Odilon-Barrot studia e legge poco: egli medita. Il suo spirito non ha attività e non veglia che nelle alte regioni del pensiero. Ministro, languirebbe e si lascierebbe sorprendere nell'applicazione. Ei sarebbe più adatto a dirigere che ad eseguire, e brillerebbe meno nell'azione che nel consiglio. Egli trascurerebbe i particolari e la corrente degli affari, non perché fosse mal atto, ma perché sarebbe disattento. (vol. II, studio XXVI, p. 106)
  • Odilon-Barrot è uomo onesto, qualità la quale (a vergogna dei nostri tempi) fa d'uopo lodare, per essere assai rara. Egli non è maneggiatore, non intrigante, né gran fatto ambizioso. La sua riputazione politica è bella e senza macchia. S'egli non ha tanto avanzato nella via del progresso quanto noi lo vorremmo per lui e per noi, non può dirsi nemmeno che abbia retroceduto. La di lui moderazione non esclude la sua devozione, e la sua parola è sempre pronta per le cause generose, sempre al servigio degli oppressi. (vol. II, studio XXVI, p. 107)
  • Odilon-Barrot ha della popolarità elettorale, ma non della popolarità popolare. (vol. II, studio XXVI, p. 107)
  • [Jacques-Charles Dupont de l'Eure] Specie di Romano, ma dei migliori tempi dell'antica Roma. Onesto senza ostentazione e senza affettazione: repubblicano per principii, per costumi, per carattere, per virtù. (vol. II, studio XXVII, p. 120)
  • [Jacques-Charles Dupont de l'Eure] [...] semplice, franco, brusco sino alla rozzezza, incomodo agli adulatori, difenditore, alla Corte ed in un senato corrotto, del risparmio e dell'eguaglianza: criterio diritto che non si lascia arrestare sul cammino per bellezza di frasi, sofisma di pompa ed ipocrisia di proteste: ingegno che brilla altamente per lo squisito suo buon senso, quant'altri per lo splendore della loro eloquenza: personaggio raro in tutti i tempi, in un tempo, soprattutto, in cui gli apostati dell'onore e della libertà camminano sfrontatamente nel disprezzo, e si pongono da loro medesimi corone d'oro sulla fronte. (vol. II, studio XXVII, p. 120)
  • [Jacques-Charles Dupont de l'Eure] Uomo [...] cui non mancò, perché la sua virtù avesse un non so che di perfetto e di finito, che un po' di proscrizione, che sono però ben lungi dall'augurargli. (vol. II, studio XXVII, p. 120)
  • [Louis-Antoine Garnier-Pagès] Uomo d'integra e pura vita, di maniere semplici ed affettuose e di un repubblicanismo severo senza essere stravagante: fedele a' suoi antecedenti, disinteressato, coraggioso, ed una delle notabilità più pure della rivoluzione di Luglio[7]; tale è l'uomo morale e politico. (vol. II, studio XXVIII, pp. 124-125)
  • [Louis-Antoine Garnier-Pagès] Oratore, brilla per l'ordine saggio e misurato del suo piano, pel vigore della dialettica e per la prestezza ingegnosa delle sue repliche.
    Manca forse un po' di quella veemenza oratoria che dipende, più di quanto si pensi, dalla forza del polmone e dal colorito del volto. Ma in un'assemblea seria, in un governo d'affari, l'uomo veracemente eloquente non è quegli che ha dello splendore, della passione, delle lagrime nella voce, ma quegli che meglio discute. Ora, Garnier-Pagès è un uomo di discussione: è la ragione stessa condita di spirito. (vol. II, studio XXVIII, p. 125)
  • Garnier-Pagès ha un talento pienamente parlamentario: non dice se non ciò che vuol dire, e, qual abile nocchiere, conduce la sua parola e le sue idee attraverso gli scogli di cui la sua strada è seminata, senza urtare in essi e senza naufragare. (vol. II, studio XXVIII, p. 125)
  • Garnier-Pagès non sedurrà gli uomini leggeri, ma piacerà agli uomini gravi, perché il suo discorso è più solido che brillante. Egli non si attacca tanto al movimento delle idee che alla loro consuccessione, né alla pompa delle parole, quanto alle cose che tali parole esprimono. La sua discussione è stretta e sostanziale. Egli deduce nettamente le sue proposizioni le une dalle altre, cominciando dalle principali, per giungere alle secondarie, ed i suoi ragionamenti si premono e si uniscono senza confondersi. Io non esito a dire (e su questo proposito credo d'intendermene un poco), che Garnier-Pagès è uno de' migliori dialettici della Camera. (vol. II, studio XXVIII, pp. 125-126)
  • Lafayette non era oratore, se per orazione s'intende quel parlare enfatico e sonoro che stordisce gli uditori e non lascia che vento nel loro orecchio. Era una certa maniera di conversazione seria e famigliare, grammaticalmente non corretta, se volete, ed un po' soprabbondante, ma taglieggiata d'incisi e rilevata da modi di dire felici. Non figure, non immagini colorate, ma la parola propria, la parola giusta che esprime l'idea giusta: non movimenti passionati, ma un linguaggio commosso dall'accento della convinzione: non logica profonda, stringente, lavorata, ma ragionamenti tutti uniti, che s'incatenavano senza sforzo, gli uni cogli altri e sortivano naturalmente dall'esposizione dei fatti. (vol. II, studio XIX, p. 137)
  • Lafayette avea più che delle idee: avea dei principii, dei principii fondamentali ai quali era avvinto con una sradicabile ostinazione. Egli volea la sovranità del popolo in teorìa, in pratica ed in effetto: quella è il tutto.
    Facea poca differenza però tra la tirannìa di tutti e la tirannìa di un solo: anteponeva il fondo alla forma, la giustizia alle leggi, i principii ai governi, il genere umano alle nazioni. Voleva minorità libere, sotto una maggiorità trionfante. (vol. II, studio XIX, p. 138)
  • Poiché volete, o Arago, avere la compiacenza di posare davanti a me, permettetemi, mentre sto ripulendo la mia tavolozza, di farvi un'interrogazione.
    Da che proviene che gli scienziati ed i letterati, i quali, per la maggior parte, sono gloriosamente nati nella classe del popolo; che questi uomini i quali formano il più splendido ornamento della Francia e costituiscono la sola e vera aristocrazia, conciossiaché niun'altra più ve ne abbia se non quella dei talenti, pongano l'anima loro ai piedi del potere, ne siano i più compiacenti apologisti, non facciano la più piccola attenzione all'oppressione sistematica della libertà, ed abbiano perduto persino il sentimento della loro politica dignità? Perché lo stesso fenomeno si ripete in tutti i paesi d'Europa? (vol. II, studio XX, p. 143)
  • Allorché dicessi che Arago è un dotto di fama europea, non lo lusingherei io molto: ma gli piacerei, umana debolezza! dicendo ch'egli è uno scrittore superiore, e direi vero. S'ei non fosse dell'Accademia delle scienze, sarebbe dell'Accademia francese, perché possiede i secreti della lingua non meno che i secreti del cielo. (vol. II, studio XX, p. 146)
  • Allorché Arago sale la tribuna, la Camera, attenta e curiosa, si richiama all'attenzione e fa silenzio: gli spettatori si protendono per vederlo. La di lui statura è alta, la capigliatura innanellata ed ondeggiante, e la bella sua testa meridionale domina l'assemblea. Vi è nella contrazione musculare delle sue tempia, una potenza di volontà e di meditazione che rivela un talento superiore. A differenza di quegli oratori che parlano sopra tutto, né sanno i tre quarti delle volte ciò che si dicano, Arago non parla che su quistioni preparate, che aggiungono all'attrattiva[8] della scienza l'interesse della circostanza. I di lui discorsi hanno per tale maniera della generalità e dell'attualità, e si dirigono in pari tempo alla ragione ed alle passioni del suo uditorio, di tal che non tarda egli a padroneggiarlo. Non appena è entrato in materia, che attrae e concentra sopra di lui tutti gli sguardi. Eccolo ch'ei prende, per così dire, la scienza fra le sue mani! egli la spoglia di tutto quanto ha in sé di aspro, delle formule tecniche, e la rende sì chiara, sì percettibile, che i più ignoranti sono sorpresi ed incantati di vederla e comprenderla. La di lui pantomima animata ed espressiva, accresce l'effetto della illusione oratoria. Vi è qualche cosa di luminoso nelle sue dimostrazioni, e sembrano uscirgli dagli occhi, dalla bocca, dalle dita scintille di luce. (vol. II, studio XX, pp. 149-150)
  • Vi ha forse un cittadino più grande di Lafitte? Vi ha un ministro che sia entrato negli affari con maggiore devozione e sincerità, e ne sia escito con un cuore più francese e mani più pure? Vi ha alcuno al mondo di lui più benevolo? Quanti re e privati non hanno essi abusato della facilità di quell'eccellente ed amabile carattere? quale voce lusinghiera! quale facilità di discorso! quale fluidità variata, abbondante, limpida, spiritosa! quale entusiasmo ingenuo di giovin uomo per ciò che è bello e buono, giusto e vero! come unisce bene alle grazie della Corte, allorché la Corte avea delle grazie, la semplicità e la bonarietà di un negoziante! (vol. II, studio XXI, p. 151)
  • Lafitte ha il genio finanziere, che è più raro del genio oratorio. Egli ha risoluto il problema della conversione delle rendite, delle banche, dell'ammortizzazione, con una nettezza di espressioni che ammanta la scienza senza nasconderla. I di lui discorsi sull'insieme del budget, sono modelli di esposizione teorica, e le di lui discussioni sono modelli del genere deliberativo applicato all'uso delle cifre. Egli fondò, sotto la Restaurazione, il debito pubblico; fonda oggidì il credito privato, non volendo che passi un solo giorno della bella sua vita senza esser utile al proprio paese! (vol. II, studio XXI, p. 152)
  • [Jacques Laffitte] Quell'anima sì dolce e che potrebbe credersi debole, resiste e si afforza nelle vive e stringenti circostanze. Egli lotta coraggiosamente contro i pericoli, li affronta con energìa e li domina colla sua decisione.
    L'ingratitudine, da qualunque lato essa si parta, eccita la nobile di lui collera, e la oppressione della libertà, qualunque sia il pretesto di cui si ammanti, ne accende l'indignazione. Gli sfuggono allora certe parole che sembrano potersi proferire soltanto da un datore di corone, da un fondatore di dinastìa siccome lui, ed il ministro, stimolato ad udirlo o a rispondere, non sa che arrossire ed abbassar gli occhi. (vol. II, studio XXI, pp. 152-153)
  • Carlo Dupin cumula le parole, il che è sterile per noi: cumula gl'impieghi, il che è fruttifero per lui. Egli è, in Francia, presso a poco tutto ciò che uno può esservi. Egli vi ha l'impiego d'ingeniere, l'impiego di membro dell'ammiragliato, l'impiego d' Accademico, e questo doppio, l'impiego di professore al Conservatorio, l'impiego di consigliere di Stato, l'impiego di Pari di Francia, l'impiego di relatore irremovibile del budget della marina, l'impiego di attaccarsi agli occhielli nastri, croci e decorazioni, l'impiego di barone, di alto barone. (pp. 155-156)
  • [Carlo Dupin] Egli è, alle Colonie, delegato senza lavoro, ma non senza emolumenti: è in Isvezia, cavaliere degli ordini del Regno, ed i viaggiatori che vengono d'Italia dicono che gli si riserva il Cappello, a cagione di quel famoso sermone sui Vescovi che voi sapete bene avere egli con tanta unzione recitato!
    Oltre a tutto questo bagaglio di croci, di dignità, di cattedre, d'impieghi, di diplomi, di mantelli, di nastri, di spade, di penne di Perry, di galloni, di abiti, di biglietti di banca, di sacchi di denaro e di orpello di ogni maniera, onde Carlo Dupin cammina coperto, decorato, caricato, sopraccaricato, oppresso, imbacuccato, e che gli pendono e trascina da ogni parte, egli ha i suoi libri, i suoi manuali, le sue carte, piani, manoscritti, i suoi progetti di condurre il mare a Parigi né più né meno che all'Hàvre, ed i suoi studi su Demostene, che non era peraltro il più prolisso degli oratori. (p. 156)
  • Gli elettori avevano detto a Dupin: Voi sarete deputato, ma parlate! i ministri di poi gli dissero: Voi sarete Pari, ma tacete! Questo era l'imbarazzo: tacete! il pover'uomo era al supplizio. (p. 156)
  • [Hippolyte François Jaubert] Oratore bilioso, acre, petulante, irritabile, aggressivo: vano della sua aristocrazia casuale, e geloso, come un nuovo possessore, della sua fortuna di jeri: tanto ardente pel potere, quanto lo fu, non è molto, per la libertà: fanatico, per forza di temperamento, di qualunque partito ch'ei servirà, ma coraggioso e tale da lanciarsi, solo, ad occhi chiusi, nella mischia: tenace, che non retrocede mai dinnanzi al ridicolo, il più reale forse ed il più spaventevole di tutti i pericoli francesi: pronto d'ingegno, economista instruito, parlatore facile ed onest'uomo. (p. 158)
  • Jaubert ha la parola pronta e svegliata, né ha d'uopo di essere eccitato due volte per montare alla tribuna e menar colpi su i suoi avversari. Nato quarant'anni prima, sarebbe stato, nella Convenzione, un rivoluzionario di prima forza. Il di lui carattere violento, bolle né può contenersi: le di lui labbra assottigliate, premendosi, distillan fiele, ed i neri suoi occhi gettano lampi di collera. (p. 160)
  • Jaubert arriva diritto alla questione, ed allorché essa ne devìa, la rimette in sulla strada. Egli interpella i ministri e li stringe alla gola in un cammino sì angusto, fra due muraglie sì ruvide, che non vi è modo di fuggire, ed è forza rispondere sì o no. (p. 161)
  • [...] la poesia, la vera poesia, non è che la ragione ornata dall'immaginazione e dal ritmo.
    Disgraziatamente non può dirsi altrettanto delle poesie di Lamartine! So bene ch'esse contengono de' pianti sublimi, i pianti dell'anima: che hanno suoni inattesi che rapiscono l'orecchio; ma quale disordine altresì d'immaginazione! quante note false ed urtanti nella sua melodia! quale prodigalità di epiteti ampollosi! quale abuso di descrizioni, di metafore, d'inversioni, di colorito! Non piano, non ordine: veruna progressione drammatica: di logica (giacche di essa è pur d'uopo nella poesia come in tutto) assenza completa. (p. 167)
  • Lamartine sembra aver troppo dimenticato che le parole non sono idee, né l'urto de' suoni armonia, né la confusione scienza, né la fisiologia dolore. Se Lamartine passa alla posterità cogli altri poeti della decadenza, sarà, per la incoerenza de' pensieri e dello stile, uno degli autori più difficili a spiegarsi, e che farà la disperazione degli scolari e de' commentatori. (p. 167)

Incipit di L'indipendenza italiana

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Bello e singolare spettacolo è lo svegliarsi d'Italia.
Essa dormiva, ma di un sonno agitato, come dormono le nazioni schiave.
Due movimenti frattanto l'agitavano nel senso opposto: un movimento di re, un movimento di popoli.
Il re di Napoli avrebbe volentieri tolto il dominio di Benevento ed anche di più; il granduca di Toscana agognava Lucca; il re di Piemonte avrebbe volentieri corrisposto a chiunque lo avesse salutato come re d'Italia, Parma e Modena giravano come satelliti nella loro orbita tedesca; l'imperator d'Austria meditava d'impadronirsi di Ferrara, di andar più oltre, e di chiudere Roma in Roma medesima. Il vecchio Gregorio [XVI] non aveva il talento d'invasore, il quale non si confaceva ai suoi gusti, alla sua età, ai suoi progetti: egli resisteva al progresso, al secolo; egli presentiva colle congregazioni, coi frati e colla corte papale, che le vecchie massime del suo governo stavano per perire, che la Chiesa si secolarizzava, e che il potere temporale sfuggiva alla Teocrazia.

  1. Da Du Conseil d'Ètat, cap. XI, "De l'inamovibilité des trìbunaux administratìfs"; citato da Pasquale Stanislao Mancini nella 1^ Tornata del 9 giugno 1864 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  2. Capo della destra politica.
  3. Nel testo "antagonisimo".
  4. Il suono della sua voce.
  5. Nel testo "sapente".
  6. Allusione a Nicolas Jean-de-Dieu Soult (1769-1851), generale e ministro francese, comandante delle truppe francesi nella battaglia di Tolosa del 1814.
  7. Episodio della storia francese, noto anche come rivoluzione del 1830, che vide il rovesciamento del sovrano assolutista Carlo X, sostituito da Luigi Filippo I.
  8. Nel testo "attrativa".

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