Stendardo del corvo
Lo stendardo del corvo (Hrafnsmerki in lingua norrena; Hravenlandeye in antico inglese) fu un vessillo utilizzato da diversi capitani vichinghi tra il IX, X e XI secolo. Lo stendardo, disegnato in arte vichinga, era triangolare, con una serie di ciglia, con all'interno un corvo.
Stendardo del corvo | |
---|---|
Proporzioni | triangolare |
Simbolo FIAV | |
Colori | Pantone
(R:0 G:0 B:0) (R:255 G:255 B:255) |
Uso | militare |
Tipologia | Vessillo di guerra dei Re dei mari vichinghi e della Grande armata danese |
Adozione | IX secolo |
Gli studiosi ritengono che il corvo rappresenti Odino, spesso rappresentato accompagnato da due corvi chiamati Huginn e Muninn. L'intento era di spaventare i nemici invocando il potere di Odino.
L'uso da parte dei figli di Ragnarr Loðbrók
modificaLo stendardo del corvo fu usato da alcuni capi vichinghi, ricordati dalle saghe norrene, come i figli di Ragnarr Loðbrók.
La prima menzione di una forza vichinga che portava questo simbolo è nella Cronaca anglosassone ("Chronicum saxonicum", 878)[1]:
Nella Vita di Alfredo re Anglo-Sassone ("Vita Ælfredi regis Angul Saxonum", 893, del monaco Johannes Asser della Cattedrale di St David's) si conferma la presenza dello stendardo del corvo nella Grande armata danese e ne aggiunge il suo valore magico (seiðr), di natura totemica ed oracolare[2]:
«[V]exillum quod reafan vocant. Dicunt enim quod tres sorores Hungari et Habbae, filiae videlicet Lodebrochi illud vexillum texuerunt, et totum paraverunt illud uno meridiano tempore. Dicunt etiam quod in omni bello, ubi praecederet idem signum, si victoriam adepturi essent, appareret in medio signi quasi corvus vivus volitans; sin vero vincendi in futuro fuissent, penderet directe nihil movens: et hoc saepe probatum est.»
«Vessillo che chiamano reafan. Si racconta che le tre sorelle di Hungarus e Habba, figlie di Loðbrók tesserono quel vessillo, e lo resero pronto nel tempo di una mezza giornata. Dicono anche che in tutte le battaglie, dove sono preceduti da quel segno, se si giunge a vittoria, appare al centro dello stendardo un corvo, quasi vivo, con ali spiegate; se invece non si ha vittoria esso per nulla si muove: e ciò è sempre stato provato»
Nell'Encomio della Regina Emma ("Encomium Emmae Reginae", del Monaco dell'Abbazia di San Bertino, 1041/1042), si menziona il vexillum del corvus e che era bianco di seta[3]:
«Recedente vero brumali tempore, tota quadragesima rursus militiam adunavit, et mox post pascales dies regem et Danos a finibus Anglorum deturbare paravit, et veniens cum innumerabili multitudine, eos subito cogitavit invadere.
At sermo non latuit Danos, qui puppibus postpositis petunt arida, aptantes se excipere quaeque obvia.
Erat namque eis vexillum miri portenti, quod licet credam posse esse incredibile lectori, tamen, quia verum est, verae inseram lectioni.
Enimvero dum esset simplissimo candidissimoque intextum serico, nulliusque figurae in eo inserta esset imago, tempore belli semper in eo videbatur corvus ac siintextus, in victoria suorum quasi hians ore excutiensque alas, instabilisque pedibus; et suis devictis quietissimus totoque corpore demissus.
Quod requirens Thorkell, auctor primi prelii: Pugnemus inquit viriliter, sotii, nihil nobis erit periculi; hoc denique testatur instabilis corvus presagientis vexilli.
Quo audito Dani audentiores effecti, ferratisque induviis indurati, occurrunt Anglis in Aesceneduno loco, quod nos Latini montem fraxinorum possumus interpretari.
Ibique nondum congressione facta, Edric, quem primum comitum Aedmundi diximus, hec suis intulit affamina: Fugiamus, o sotii, vitamque subtrahamus morti imminenti, alioquin occumbemus ilico; Danorum enim duritiam nosco.
Et velato vexillo quod dextra gestabat, dans tergum hostibus magnam partem militum bello fraudabat.
Et ut quidam aiunt, hoc non causa egit timoris sed dolositatis, ut postea claruit; quia hoc eum clam Danis promisisse, nescio quo pro beneficio, assertio multorum dicit.
Tunc Aedmund hoc intuitus et undique angustiatus: O Angli, inquit, aut hodie bellabitis, aut omnes una in deditionem ibitis.
Pugnate ergo pro libertate et patria, viri cordati; hi quippe qui fugiunt, utpote formidolosi, si non abirent, essent impedimento exercitui.
Et haec dicens in medios ingreditur hostes, circumquaque caedens Danos, nobiles hoc exemplo suos reddens ad bellandum proniores.»
«Poiché aveva perso, tuttavia, la stagione dell'inverno, d'altra parte tutta la Quaresima radunò le forze, i Danesi dal paese degli Angli, e poi dopo aver tentato di espellere il re, e il tempo pasquale, e al mio arrivo, con innumerevoli moltitudini insieme, progettarono un attacco improvviso.
Ma un rapporto non era noto ai Danesi, che lasciarono le loro navi e scesero a terra, preparandosi a ricevere qualunque cosa avessero incontrato.
Ora avevano un vessillo di meravigliosamente come se credo che sia incredibile per il lettore, tuttavia, che è vero, introdurrà la lettura.
Perché mentre era della seta più semplice e bianchissima, e nessuna figura in esso vi era inserita come immagine, in tempo di guerra sempre si sarebbe visto un corvo come ricamato, per così dire, aprendo il becco, sbattendo le ali per il successo dei suoi, e irrequieto in piedi; dopo aver conquistato il resto, e tutto il suo corpo verso il basso.
Guardando fuori, Thorkell, autore della prima battaglia, disse: Combattiamo virilmente, compagni, nessun pericolo ci minaccia; questo porta l'irrequieto vessillo profetico del corvo.
Quando i Danesi udirono, e si vestirono di audaci, si presentarono al posto degli Angli, nell'Esceneduno, i frassini di montagna che sanno interpretare gli noi uomini Latini.
E lì incontrerò nel non ancora fatto, Edric, che è stato il primo conte di Edmondo abbiamo detto, questo è i suoi seguaci montati affabilmente: Fuggiamo, o compagni, e la vita del pericolo immediato di morte, ci sottraiamo, altrimenti vado sul posto; i Danesi hanno il naso duro.
E, nascondendo il vessillo, erano lì perché stringeva la mano, rigirava al nemico gran parte dei soldati della battaglia.
E secondo alcuni, questa non è la causa della paura ma dell'inganno, tanto che in seguito divenne famoso; è che aveva segretamente ai Danesi per dare sicurezza per il beneficio di cui non so, e che molti affermano.
Poi Edmondo, osservando ciò che era stato sequestrato e da tutte le parti: Oh Angli, disse, o oggi combatteremo, o tutti ci arrenderemo.
Combattete dunque per la libertà e la patri, voi uomini di intelligenza; in verità chi è in fuga, ad esempio, ha paura, se non lo fa se ne va, sarebbe un intralcio per l'esercito.
E questo dicendo, entra in mezzo al nemico, e muovendosi aveva spigolato, considera che i Danesi, i nobili di questo con l'esempio dei loro, visitano i più inclini alla penna dello scrittore.»
Questo racconto è ripetuto anche negli Annali di San Neot ("Annales Sancti Neoti", 1120/1140)[4]:
«Dicunt enim quod tres sorores Hynguari et Hubbe, filie uidelicet Lodebrochi, illud uexillum tex'u'erunt et totum parauerunt illud uno meridiano tempore. Dicunt etiam quod, in omni bello ubi praecederet idem signum, si uictoriam adepturi essent, appareret in medio signi quasi coruus uiuus uolitans; si uero uincendi in futuro fuissent, penderet directe nichil mouens - et hoc sepe probatum est.»
«Dicono infatti che tre sorelle di Hynguarus e Hubbe, vale a dire figlie di Lodebrochus, quel vessillo tesserono e tutto pronto quello in mezza giornata. Dicono anche che, in ogni guerra quando dovrebbe essere preceduto dal stesso segno, se la vittoria li favoriva, appariva nel centro un segno come un corvo che vivo volava; se veramente fossero vinti in futuro, le chiuderebbe direttamente senza muoversi - e questo spesso è stato provato.»
Nella Storia degli Inglesi ("Estoire des Engleis", 1140, di Geffrei Gaimar), si menziona il gumfanum Raven portato dall'armata di Ubbe nella Battaglia di Cynuit (878)[5]:
«Sovent oscist dé lur asquanz:
un frere Iwarë e Haldene
en fu oscis el bois de Pene;
Ubbe out à nun, un mal fesant;
sur li firent hoge mult grant
li Daneis, quant l'ourent trové:
Ubbelawe[6] l'unt apelé.
La hoge est en Devenschire.
De gent i out bien grant martyre,
huit cenz quarente en i morurent,
quinchald, feluns, perjures furent;
conquis i fu le gumfanum
Ubbe, ke Raven out nun.»
«Sovente uccise dei loro nemici:
un fratello di Iwarë e di Haldene
fu ucciso nel bosco di Pene;
Ubbe era il nome, un malfattore;
su lui fecero un tumulo molto grande
i Danesi, quando l'ebbero trovato:
Ubbelawe l'hanno appellato.
Il tumulo è nel Devenschire.
Di gente lì ci fu un ben grande martirio
ottocentoquaranta lì morirono,
cosa importa, felloni, spergiuri erano;
conquistato lì fu il pennone da guerra
di Ubbe, che Corvo era nominato.»
Note
modifica- ^ (NON) "Chronicum saxonicum", Versione B: Cronaca di Abingdon I, 879, (British Museum, Cotton MS. Tiberius A vi).
- ^ (LA) , Johannes Asser, "Vita Ælfredi regis Angul Saxonum", 893, (Grimm ch. 35).
- ^ (LA) , Monaco dell'Abbazia di San Bertino, "Encomium Emmae Reginae", Liber Secundus, Paragrafo 9, 1041/1042 (Georg Heinrich Pertz, "Cnutonis regis Gesta sive Encomium Emmae reginae auctore monacho S. Bertini", Impensis Bibliopolii Hahniani, Hannover, 1865, Pagg. 17-19).
- ^ (LA) , "Annales Sancti Neoti", 1120/1140, R.7.28 (Trinity College, Cambridge).
- ^ (XNO) , Geffrei Gaimar, "Estoire des Engleis", vv. 3144-3156, 1140, traduzione di Ian Short, Oxford University Press, Oxford, 2009, Pag. 172, ISBN 978-0-19-956942-7).
- ^ (EN) "What does Gaimar say? Ubbelawe" ["Cosa dice Gaimar? Ubbelawe"], su https://oldsomerset2.wordpress.com, 12 novembre 2016 (archiviato il 19 gennaio 2024).
Bibliografia
modifica- The Anglo-Saxon Chronicle. (English translation). Everymans Library, 1991.
- Barraclough, Captain E.M.C. "The Raven Flag". Flag Bulletin. Vol. X, No. 2-3. Winchester, MA: The Flag Research Center (FRC), 1969.
- Cappelen, Hans. "Litt heraldikk hos Snorre." Heraldisk tidsskrift No. 51, 1985.
- Dumville, David and Michael Lapidge, eds. The Anglo-Saxon Chronicle, Vol 17: The Annals of St. Neots with Vita Prima Sancti Neoti. Woodbridge: D.S. Brewer. 1985.
- Engene, Jan Oskar. "The Raven Banner and America." NAVA News, Vol. XXIX, No. 5, 1996, pp. 1–2.
- Forte, Angelo, Richard Oram and Frederik Pedersen. Viking Empires. Cambridge: Cambridge University Press, 2005.
- Grimm, Jakob. Teutonic Mythology. 4 vols. Trans. James Steven Stallybras. New York: Dover, 2004.
- Hjelmquist, Theodor. "Naturskildringarna i den norröna diktningen". In Hildebrand, Hans (ed). Antikvarisk tidskrift för Sverige, Vol 12. Ivar Hæggströms boktryckeri, Stockholm. 1891., su runeberg.org.
- Hrafnhildur Bodvarsdottir. The Function of the Beasts of Battle in Old English Poetry. PhD Dissertation, 1976, University of New York at Stony Brook. Ann Arbor: University Microfilms International. 1989.
- Lukman, N. "The Raven Banner and the Changing Ravens: A Viking Miracle from Carolingian Court Poetry to Saga and Arthurian Romance." Classica et Medievalia 19 (1958): p. 133-151.
- Njal's Saga. Trans. George DaSent. London, 1861.
- Orkneyinga Saga: The History of the Earls of Orkney. Trans. Pálsson, Hermann and Edwards, Paul (1978). London: Hogarth Press. ISBN 0-7012-0431-1. Republished 1981, Harmondsworth: Penguin. ISBN 0-14-044383-5.
- Poole, R. G. Viking Poems on War and Peace: A Study in Skaldic Narrative. Toronto: University of Toronto Press. 1991.
- Snorri Sturluson "King Harald's Saga." Heimskringla. Penguin Classics, 2005.
- Trætteberg, Hallvard. "Merke og Fløy". Kulturhistorisk leksikon for nordisk middelalder, Vol. XI, Oslo, 1966, columns 549-555.
- Woolf, Rosemary. "The Ideal of Men Dying with their Lord in the Germania and in The Battle of Maldon." Anglo-Saxon England Vol. 5, 1976.
Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Stendardo del corvo
Collegamenti esterni
modifica- (EN) Viking Answer Lady on Viking flags, su vikinganswerlady.com.
- Njal's Saga - Public domain edition of translated by George DaSent, 1861, at Northvegr.org, su northvegr.org. URL consultato il 26 agosto 2008 (archiviato dall'url originale il 22 agosto 2003).
- The Raven Banner, su crwflags.com.