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Sedotta e abbandonata

film del 1964 diretto da Pietro Germi

Sedotta e abbandonata è un film del 1964 diretto da Pietro Germi.

Sedotta e abbandonata
Aldo Puglisi, Saro Urzì, Stefania Sandrelli e Lando Buzzanca in una scena del film
Paese di produzioneItalia, Francia
Anno1964
Durata122 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,85:1
Generecommedia, drammatico
RegiaPietro Germi
SoggettoLuciano Vincenzoni, Pietro Germi
SceneggiaturaAgenore Incrocci, Furio Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Pietro Germi
ProduttoreFranco Cristaldi, Luigi Giacosi
Casa di produzioneLux-Ultra-Vides (Roma), Compagnie Cinématographique de France (Parigi)
Distribuzione in italianoParamount
FotografiaAiace Parolin
MontaggioRoberto Cinquini
MusicheCarlo Rustichelli
ScenografiaCarlo Egidi
CostumiAngela Sammaciccia
TruccoRaffaele Cristini
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

La pellicola fa parte di una trilogia sulla società italiana e i suoi costumi iniziata con Divorzio all'italiana e conclusa con Signore & signori[1][2].

«Signor pretore, non siamo né miliardari né baroni; una sola ricchezza abbiamo...un nome onorato![3][4]»

Durante un pomeriggio di una torrida estate siciliana, a Sciacca, i membri della famiglia Ascalone dormono. Nella sala da pranzo invece esplodono gli istinti sessuali di Peppino Califano, studente in legge, promesso sposo di Matilde, che concupisce la sorella di lei, Agnese, segretamente innamorata del giovane. Il rapporto sessuale viene mantenuto segreto dai due. I familiari non si accorgerebbero di nulla se Agnese non avesse, nei giorni successivi, comportamenti inconsueti. Il padre, insospettito, fa eseguire le analisi delle urine, che fanno risultare Agnese incinta.

Per il padre è un dramma. Vincenzo Ascalone, intransigente custode dell'onore della famiglia, si abbatte come una tempesta su Peppino e i suoi stupefatti genitori, ai quali impone di mantenere il silenzio e di far sposare il figlio alla disonorata Agnese. Costringe Peppino a scrivere una lettera di rinuncia alla promessa di matrimonio con Matilde, ignara di tutto. Subito dopo don Vincenzo elabora una versione "ufficiale" buona per amici e conoscenti: è stata Matilde che non ha voluto più Peppino. Per avvalorare questa versione, trova un nuovo fidanzato alla figlia: un giovane nobile caduto in disgrazia, il barone Rizieri. Si tratta ora di convincere Peppino a prendere Agnese. Peppino però non accetta di sposare una donna non più vergine e che si è rivelata, pur cedendo alla sua stessa seduzione, una "poco di buono". Per sfuggire alle minacce di don Vincenzo, Peppino si rifugia da uno zio sacerdote.

Intanto Rizieri è diventato il fidanzato di Matilde. Una sera, i paesani possono ammirare tutta la famiglia a passeggio: don Vincenzo e la moglie, Matilde sottobraccio a Rizieri e, dietro, gli altri figli. Don Vincenzo, che per migliorare il sorriso del barone ha pagato le sue cure odontoiatriche, viene a sapere dagli "amici" dove si nasconde Peppino e su consiglio del cugino avvocato, manda l'unico figlio maschio, Antonio, a ucciderlo. Antonio, codardo che non ha alcuna intenzione di diventare un assassino, il giorno della partenza rivela ad Agnese la sua missione, sperando nella sua comprensione. La sorella corre dai Carabinieri per denunciare il piano, che viene sventato. In paese, don Vincenzo fa sempre più fatica a spiegare agli amici e ai conoscenti cosa sta succedendo tra la sua famiglia e quella di Peppino Califano. Dopo il mancato delitto d'onore, gli Ascalone sono sulla bocca di tutti.

Ma la verità sta venendo alla luce, con l'accusa ad Antonio di tentato omicidio di Peppino e la denuncia di Agnese. I due, convocati dal pretore, negano il fatto dichiarando che si è trattato di una burla. Il pretore non crede alla loro versione: chiede ad Agnese se è vero che ha perso la verginità ad opera di Peppino. Questi nega che Agnese fosse vergine e racconta che il sedotto è stato lui. Il pretore non crede alla versione di Peppino: dà seguito alla denuncia per il reato di violenza su minori e accusa Antonio di minaccia a mano armata.

Don Vincenzo, a questo punto, vuole far apparire l'accaduto come un rifiuto della sua famiglia al matrimonio di Agnese con Peppino, come un'espressione dell'indipendenza di sua figlia, libera di scegliere chi vuole. In realtà costringe Peppino, per evitare la galera, a inscenare con gli amici un falso rapimento di Agnese per poi sposarla (secondo il codice penale dell'epoca, il matrimonio cancellava il reato di violenza carnale). Tutti si presentano davanti al pretore per comunicargli il lieto fine della vicenda. Ma le cose non vanno come previsto: quando il pretore chiede conferma ad Agnese, la ragazza rifiuta di accettare il matrimonio riparatore con Peppino.

Mentre gli Ascalone tornano a casa dalla pretura, i paesani in massa li sbeffeggiano con veemenza. È troppo per don Vincenzo, che viene colpito da un infarto. Costretto a letto, riesce a convincere Agnese a sposare Peppino. Mentre si sta celebrando il matrimonio e Matilde sta pronunciando i voti per farsi suora, il padre di famiglia muore di nascosto per non far rimandare le nozze, immolando la sua vita sull'altare dell'onore.

Produzione

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Terminata la collaborazione con De Laurentiis, che lo aveva preso in esclusiva per 4 anni come sceneggiatore, Luciano Vincenzoni ritrova il maestro Germi, con il quale aveva avuto dei contrasti a proposito del film Il ferroviere. Tornati a lavorare insieme, creano la società RPA e producono il film Sedotta e abbandonata.[5]

Gli esterni del film sono stati girati a Sciacca, in provincia di Agrigento.[6]

Distribuzione

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Il film è stato distribuito in Italia a partire dal 30 gennaio 1964 (Roma), dal 31 gennaio (Milano) e dal 26 febbraio (Torino). L'11 marzo dello stesso anno è stato presentato alla Settimana del Film Italiano e il 10 maggio al Festival di Cannes. Negli Stati Uniti il film è stato distribuito dal 15 luglio, in Francia dal 24 luglio, in Germania Ovest dal 2 ottobre, nei Paesi Bassi dal 29 ottobre, in Ungheria dal 17 dicembre e in Finlandia dal 25 dicembre. Nel 1965 è stato poi distribuito in Danimarca dal 9 marzo, in Giappone dal 18 marzo, in Svezia dal 20 aprile, in Messico dal 20 agosto. Nel 1966 è stato distribuito in Belgio il 27 maggio, in Germania Est dal 26 agosto. In Spagna è stato distribuito dal 25 gennaio (Barcellona) e dal 26 febbraio (Madrid). Il 16 giugno 2010 è stato infine ridistribuito nei cinema in Francia.

Il film è noto all'estero anche con i titoli internazionali di A Matter of Honor e Seduced and Abandoned. È inoltre conosciuto con i titoli: Verleid en verlaten (Belgio, trasmissione televisiva; Paesi Bassi); Съблазнена и изоставена (Bulgaria); Seduzida e abandonada (Brasile, Portogallo); Forført og forladt (Danimarca); Seducida y abandonada (Spagna, Messico); Vietelty ja hyljätty (Finlandia); Séduite et abandonnée (Francia); Ατιμασμένη και εγκαταλελειμμένη (Atimasmeni kai egataleleimmeni, Grecia); Elcsábítva és elhagyatva (Ungheria); Yûwaku sarete suterareta onna e Yûwaku sarete suterarete (Giappone); Uwiedziona i porzucona (Polonia); Förförd på italienska (Svezia); Соблазненная и покинутая (URSS); Verführung auf italienisch (Germania Ovest).

Critica

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Stefania Sandrelli

Come era già accaduto per il film precedente, Divorzio all'italiana, per il grande successo di pubblico e per le valutazioni positive della maggior parte della critica anche il titolo di questo, Sedotta e abbandonata, passò nell'uso comune per indicare un vantaggio preso da qualcuno, ma da questi ricambiato con il tradimento.[7] L'espressione sedotta e abbandonata ha una lunga storia[8]; l'espressione ricorreva e ricorre, ormai solo metaforicamente[senza fonte], nelle odierne cronache giornalistiche: probabilmente alle cronache dell'epoca si ispirò Pietro Germi negli anni sessanta. Nel 1965 i giornali raccontarono di Franca Viola, una giovane siciliana che molto coraggiosamente aveva rifiutato di accettare un matrimonio riparatore.[9]

«Con Sedotta e abbandonata gli affezionati spettatori di Divorzio all'italiana si ritrovano in una Sicilia dominata da un grottesco senso dell'onore, nuovamente si muovono in un clima cupo e afoso con bagliori terrificanti, in cui scoppiano feroci contrasti familiari, e per la seconda volta s'imbattono in una Stefania Sandrelli concupita da un focoso isolano. Simile la cornice, analogo il desiderio del regista, Pietro Germi, di accusare, raccontando una storia inventata, l'ipocrisia dei costumi locali e della legislazione italiana.»

L'analisi che Germi conduce della Sicilia degli anni '60 è impietosa e dura rispetto a quella descritta nel precedente film, dove si respirava un'atmosfera di comica leggerezza: qui i personaggi sono apertamente disprezzati nella loro ipocrisia e falsità; gli unici che si salvano sono i carabinieri, paterni e comprensivi, e la magistratura, intelligente e attenta all'applicazione delle leggi. Non a caso il regista, uomo d'ordine e severo nei suoi giudizi, rinnova la sua fiducia, anche se limitata, in queste due istituzioni, così come faceva nel suo secondo film In nome della legge del 1949. E ancora una volta Germi simpatizza con la spregiudicatezza, l'intelligenza e il coraggio delle giovani donne interpretate da Stefania Sandrelli, che esprime a pieno la ingenua sensualità del personaggio.[10]

«I personaggi, infatti, i loro caratteri e persino il loro aspetto fisico, le situazioni che li hanno al centro e le soluzioni cui vengono indirizzati sono tutti immersi in un clima caricaturale alla Grosz permeato quasi soltanto di violentissima asprezza e, a volte, di una così spietata ferocia da rilevare negli autori soprattutto antipatia e disprezzo nei loro confronti e mai, invece, un minimo di pietà o di commiserazione.»

Nel film non manca la connotazione critica nei confronti di una società che in quei tempi, e forse non soltanto allora, considerava il matrimonio rimedio a un reato:

«In Sedotta e abbandonata il regista attacca un altro aspetto della nostra legislazione, cioè l'articolo che attribuisce al matrimonio il potere di cancellare ogni precedente reato dell'uomo nei confronti della donna, dalla violenza al ratto. Come nel film precedente Germi prende pretesto da uno spunto polemico per affrontare un tetro quadro d'ambiente.»

 
Leopoldo Trieste
 
Saro Urzì

Ma, invero, per evitarne una - è questa la morale del regista - si assumeva una condanna più pesante come quella che si prospetta per la futura vita di Peppino, anche lui trascinato all'altare per evitare il disonore e la galera, destinato ad una vita d'inferno assieme ad una donna che lo disprezza, condannato a vivere per sempre in un'unione che allora si poteva solo sciogliere con un "divorzio all'italiana".[12]

Una piccola parte che costituisce un cameo è quella interpretata da Leopoldo Trieste, noto caratterista del nostro cinema che, come nel precedente film di Germi, rappresenta la figura del siciliano bizzarro e stralunato.

Su tutti giganteggia, quasi fisicamente, l'interpretazione del grande Saro Urzì nei panni di Don Vincenzo Ascalone che, attraversato da mille ansie, si agita in modo frenetico e grottesco per trovare complicate soluzioni barocche, atte a conservare il mitico onore siciliano della famiglia. Egli diventa il simbolo della cattiva sicilianità: quella degli "amici degli amici", dell'ipocrisia sociale, dell'"onore" in nome del quale sacrificare anche i propri figli. Su di lui s'abbatte la critica corrosiva del regista, che non si ferma neppure dinanzi alla morte del personaggio, anch'essa rappresentata grottescamente[13].

«Il film ironizza in modo più che sardonico su quella Sicilia in cui salvare il cosiddetto "onore" è di importanza vitale, in cui sono le apparenze quelle che contano (memorabile la scena in cui il padre della ragazza costringe tutta la famiglia, appena usciti dal commissariato, a ridere per far credere alla gente che si era trattato di un malinteso), e le donne hanno l'importanza di un soprammobile. Sicilia questa che all'epoca di Germi esisteva ancora e che oggi non è del tutto scomparsa. Incantevolmente dimessa la Sandrelli e prepotentemente sanguigno il grande Saro Urzì (nella parte del padre della ragazza). Germi non è mai stato così pungente e sferzante, con uno stile poi da lasciar a bocca aperta. Un capolavoro della "commedia all'italiana".»

Colonna sonora

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Sedotta e abbandonata
colonna sonora
ArtistaCarlo Rustichelli
Pubblicazione1964
Dischi1
Tracce17
GenereColonna sonora
EtichettaCAM
FormatiLP, CD

La colonna sonora, opera di Carlo Rustichelli, è stata pubblicata originalmente in LP nel 1964 dall'etichetta CAM con numero di catalogo 30-086. Nello stesso 1964 è stata pubblicata negli Stati Uniti con numero di catalogo CAM 10001 e nel 1976 è in Giappone, sempre dalla CAM, con numero di catalogo GXH 6036. La prima ristampa italiana CAM è del 1992, in formato CD con numero di catalogo CSE 084, cui ha fatto seguito nel 2012 una ristampa da parte della Digitmovies, sempre in CD con numero di catalogo CDDM210.

  1. L'onuri di l'ascaluni
  2. Dicerie
  3. Passeggio barone
  4. Ratto Twist
  5. Corrida Rumba
  6. Tre squillo, tre
  7. Seduzione
  8. Alla Deguello
  9. Vampata d'amuri
  10. Matilde novizia
  11. Sposalizio
  12. Vergogna
  13. Morte di Ascalone
  14. Processione
  15. Serenata maliziosa
  16. Galline barone
  17. Onore e famiglia

Premi e riconoscimenti

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  1. ^ Stefano Stefanutto Rosa, 8 ½, n° 19, marzo 2015
  2. ^ Marco Torinello, La trilogia sui costumi italiani di Pietro Germi, su Cinescatenato, 29 ottobre 2016. URL consultato il 27 gennaio 2024.
  3. ^ Frasi celebri dal film Sedotta e abbandonata - MyMovies https://www.mymovies.it/film/1964/sedotta-e-abbandonata
  4. ^ https://www.youtube.com/watch?v=8w_iSSlSJVE&si=bZ_41JzWJiT3CyQl
  5. ^ Luciano Vincenzoni, Pane e cinema: il racconto di una vita straordinaria e avventurosa consacrata al mondo del cinema, Gremese Editore, 2005 p.63,64,57,68
  6. ^ Sedotta e abbandonata, su Cinematografo, Fondazione Ente dello Spettacolo. URL consultato il 13 novembre 2017.
  7. ^ il Sabatini Coletti - Dizionario della Lingua Italiana alla voce "abbandonato"
  8. ^ Questo tema della ragazza sedotta e abbandonata non è raro nella poesia popolare, Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte pubblicati da Costantino Nigra, Pagina 158 [1]
  9. ^ Alessandra Antonazzo, Franca Viola: una storia di coraggio che cambiò il Codice penale, 8 novembre 2016, su cno-webtv.it. URL consultato l'11 novembre 2017 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2017).
  10. ^ Maurizio Porro, Magazine Corriere della Sera
  11. ^ Tullio Kezich Il cinema degli anni sessanta, 1962-1966, Il Formichiere, Milano 1966
  12. ^ Orio Caldiron in Carlo Carotti, Le donne, la famiglia, il lavoro nel cinema di Pietro Germi, Lampi di stampa, 2011 p.127
  13. ^ Carlo Carotti, Le donne, la famiglia, il lavoro nel cinema di Pietro Germi, Lampi di stampa, 2011 p.137
  14. ^ Giovanna Grassi, Recensione film Sedotta e Abbandonata, su mymovies.it. URL consultato il 16 giugno 2021.

Bibliografia

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  • Gianni Rondolino (a cura di), Catalogo Bolaffi del cinema 1956/1965, Bolaffi 1977

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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