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Giovanni Bilivert

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ruggero e Angelica , 1625, Museo delle Belle Arti di Digione
Raffaele rifiuta i doni di Tobia, Palazzo Pitti

Giovanni Bilivert, conosciuto anche come Biliverti (Firenze, 25 agosto 1585Firenze, 16 luglio 1644), è stato un pittore italiano.

Suo padre, Jaques Bylivelt (nato Jacob Janszoon Bijlevelt, anticamente anche italianizzato come Giacomo Giovanni Biliverti o Jacopo Biliverti) (1550-1603), era un pittore-orafo olandese nato a Delft e attivo a Firenze per conto di Ferdinando I de' Medici. Giovanni iniziò come apprendista presso la bottega di Alessandro Casolani a Siena. Dopo la morte del padre avvenuta nel 1603, Giovanni lavorò, tra l'aprile 1604 fino al 1607, a Roma nella bottega di Lodovico Cigoli. In quel periodo lavorarono su committenze del papa Clemente VIII e Bilivert realizzò per la chiesa benedettina la sua prima opera intitolata il Martirio di san Callisto nel 1611.

Nel 1609 aderì all'Accademia del Disegno di Firenze, finanziata dalla famiglia Medici. Lavorò per Cosimo II dal 1611 fino al 1621, come disegnatore per le opere in pietre dure. Tobia e l'angelo e la Castità di Giuseppe, opere entrambe del 1618 si trovano nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, mentre un'Annunciazione del 1611 fu realizzata per la chiesa di San Nicola a Pisa e Sant'Elena scopre l'albero della Croce del 1621 venne dipinta nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Si riteneva fosse l'autore del dipinto Martirio di sant'Andrea posto sull'altare intitolato all'apostolo della Nazione olandese alemanna, nella chiesa della Madonna a Livorno, poi attribuito a Domenico Pugliani.

Altre sue opere sono un Agar nel deserto esposto nel museo dell'Ermitage e un Cristo e la Samaritana conservato a Vienna nel Belvedere. In tarda età divenne cieco[1].

Tra i suoi allievi ci sono stati Cecco Bravo, Agostino Melissi, Baccio del Bianco, Orazio Fidani e Giovanni Maria Morandi.

Le sue caratteristiche peculiari furono parzialmente influenzate da Cigoli, basti pensare allo stile morbido e fiorito, a cui aggiunse una certa cura dell'elemento luminoso derivato dalle tendenze del pittore caravaggesco Orazio Gentileschi.[2]

  1. ^ Ticozzi p. 101
  2. ^ "Le Muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol.II, pag.266
  • Michael Bryan, 1886 Dictionary of Painters and Engravers, Biographical and Critical (Volume I: A-K) , editor Robert Edmund Graves, London; Digitalizzato il 18 maggio, 2007 Googlebooks
  • Stefano Ticozzi, 1830 Dizionario degli architetti, scultori, pittori, intagliatori in rame ed in pietra, coniatori di medaglie, musaicisti, niellatori, intarsiatori d'ogni età e d'ogni nazione' (Volume 1) , Digitalizzato da Googlebooks, 24 gennaio 2007 Googlebooks

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